1.
La tradizione orale
-
In
una grotta che si apre sulle pendici di Monte Acuto, il rilievo lungo il
quale corrono i confini dei territori di Cingoli, Treia e S. Severino,
una "Signora" tesse da tempo immemorabile con un telaio d'oro.
Per impossessarsi del telaio occorre salire sul monte, a mezzanotte,
denudarsi, sostenere un bicchiere pieno d'acqua e attendere che un
grosso serpente, dopo aver avvolto il nostro corpo nelle sue spire senza
che un gesto o una parola tradiscano la nostra emozione, si protenda
verso il bicchiere e ne beva l'acqua. Soltanto allora avremo libero
accesso ai gradini scavati nella roccia che conducono alla grotta e al telaio. Nessun cercatore di
tesori, però, è mai riuscito a giungere fino alla "Signora":
sopraffatti dalla paura, rotto irrimediabilmente il silenzio, tutti si
sono ritrovati a molti chilometri di distanza, trasportati da un vento
improvviso, privi di sensi, abbandonati in mezzo a cespugli di rovo
(1).
-
Un
giorno un cacciatore, dopo aver rincorso la preda attraverso i boschi
della Valle delle Laque, tra Monte Acuto, il Monte di S. Angelo e il
Monte Carcatora, si trovò improvvisamente in uno spiazzo erboso mai
visto prima di allora, nonostante conoscesse quei luoghi fin da bambino.
Nel mezzo della radura,
acciambellato, c'era il "regolo", il re dei serpenti, che
somiglia un po' al ramarro ma ha piccole orecchie ed è notevolmente più
grosso di qualsiasi serpente che viva alle nostre latitudini. Quando si
muove genera un rumore metallico, simile a quello prodotto da un
barattolo che rotoli. È color d'oro ed emana vivi bagliori. Dopo un
attimo di stupore il cacciatore imbracciò il fucile e prese la mira ma
il serpente, sibilando assordantemente, si alzò in volo in uno
splendore abbagliante; accecato dalla luce, frastornato dal sibilo
penetrante, il cacciatore perse i sensi. Quando si riebbe del
"regolo" non c'era più traccia, c'erano soltanto, nel punto
dal quale si era sollevato, tanti piccoli serpenti di varie specie
(2).
-
Prima
che fosse costruita la strada che oggi attraversa la Valle delle Laque
si scorgevano di tanto in tanto, sul naturale fondo roccioso, i
solchi lasciati dalle ruote del carro di S. Sperandia, tirato da due
vitelli da latte
(3).
Ascoltare
un anziano abitante dei centri rurali di Cingoli mentre racconta le
antiche storie riguardanti il luogo natìo e rimanere colpiti dal
contrasto fra il piglio grave e perentorio del narratore e la stranezza
dei personaggi che popolano i suoi racconti è pressoché inevitabile:
scrofe che trascinano catene, serpenti luminosi che volano, regine
lapidate dai bambini del proprio reame, ecc., simboli e protagonisti dei
quali gli sfuggono ormai il senso originario e i nomi. Se poi
l'ascoltatore, vinta la confusione, chiede qualche chiarimento, non
ottiene che un pò d'imbarazzo e la giustificazione che i fatti narrati
furono ascoltati dai vecchi che a loro volta li appresero dai loro
genitori... e tanto basti. La loro credibilità poggia quindi sulla
garanzia di una ininterrotta trasmissione orale e sul rispetto del
principio di autorità, in nome del quale il narratore pretende
attenzione e considerazione.
Nei
tre brevi racconti sopra citati, relitti di tradizioni presumibilmente
più complesse e articolate alle quali mancò l'apporto di un
novellatore-poeta per assurgere al rango di fiaba, compaiono alcuni dei
suddetti bizzarri personaggi, l'apparizione dei quali è talora accolta
dagli ascoltatori con un sorriso per metà scettico, per metà
divertito. Ma, in realtà, esistettero quei personaggi? chi furono?
perché sono rimasti così a lungo in vita?
Il
presente contributo è il tentativo di trovare risposte soddisfacenti a
questi interrogativi relativamente ai protagonisti dei tre racconti, le
cui gesta si svolsero tutte nell'ambito della Valle delle Laque, un
luogo circondato da piccoli centri (Avenale, Grottaccia, Colcerasa,
Castel S. Angelo) nei quali la forza conservatrice si è esercitata
costantemente. Quest'ultima osservazione ci ponga sull'avviso: le
tradizioni orali tuttora viventi in località fortemente conservatrici
possono affondare le radici nel mito e negli antichi riti di
iniziazione; converrà essere prudenti, smettere il sorriso divertito:
stiamo forse per entrare in domini un tempo assegnati agli Dei o sul
punto di conoscere riti la cui divulgazione era severamente proibita; un
gesto o una parola di troppo, come nel racconto tradizionale,
porterebbero al fallimento dell'impresa
(4).
Ci guideranno nel labirinto dei simboli uno storico delle religioni, uno
studioso dei racconti di fate e uno psicologo analista, ai quali lascerò
il compito di commentare le azioni e i temi che i tre racconti, in forma
irrigidita e frammentaria, ci hanno tramandato, riservandomi brevi
interventi là dove palesi analogie consentiranno di formulare ipotesi o
di trarre caute conclusioni
(5).
Prima
di entrare nel vivo della ricerca, che qui necessariamente sarà
limitata agli interrogativi più interessanti posti dai racconti,
occorre considerare che nella prima narrazione il serpente si presenta
come guardiano della grotta nella quale si trovano la
"Signora" e il telaio ed è associato all’acqua, che deve
bere: è quindi un essere ctonio, custode di un ambiente sotterraneo, ed
è legato all’elemento acqua; nel secondo, al contrario, ha una chiara
natura ignea, solare (splendente come l’oro), ed è legato
all’elemento aria stante la sua capacità di volare. Si tratta di una
distinzione, come si vedrà, di grande importanza.
2.
Il serpente acquatico
Nel
mondo antico e in alcune religioni contemporanee il serpente è spesso
associato alla luna e alla donna. Sono note le divinità mediterranee presentate con serpenti in mano
(Artemide arcade, Ecate, Persefone
ecc.) o con chioma di serpenti (Gorgone, Erinni, ecc.). Queste Grandi
Dee partecipano tanto al carattere sacro della luna che a quello
del suolo ed essendo esse
anche divinità funebri (i morti vanno sotto terra o nella
luna per rigenerarsi e ricomparire sotto forma nuova) il
serpente:
diviene
l'animale funebre per eccellenza, quello che incarna le anime dei morti,
l’antenato ecc. Sempre con questo simbolo di rigenerazione si spiega
la presenza del serpente nelle cerimonie di iniziazione.
Inoltre:
l'intuizione
della Luna, in quanto norma dei ritmi e fonte di energie…ha intessuto
realmente una rete fra tutti i piani cosmici, creando simmetrie,
analogie e partecipazioni fra fenomeni infinitamente vari... In questo
modo incontriamo il complesso Luna-pioggia-fecondità-donna-serpente-morte-rigenerazione
periodica, ma qualche volta abbiamo a che fare soltanto con gli insiemi
parziali Serpente-donna-fecondità o Serpente-pioggia-fecondità...
Leggende e miti innumerevoli ci rappresentano Serpenti o Draghi che
dominano le nuvole, abitano nelle paludi e riforniscono d’acqua il
mondo. Il legame fra serpenti e corsi d'acqua si è conservato perfino
nelle credenze popolari europee
(6).
Comincia
così a delinearsi la possibilità di istituire un rapporto tra il
nostro serpente, l'acqua e il regno sotterraneo dei morti (la grotta),
possibilità corroborata dalla constatazione che nell'ampia valle
abbondano sorgenti e corsi d'acqua (tra i principali la Sorgente delle Laque e il fosso omonimo, che la stessa alimentava prima di essere
utilizzata per l’acquedotto di Botontano-Marcianello) e grotte con
annesse conserve d’acqua scavate nella roccia (Grotta di S. Angelo e
Grotta di Santa Sperandia)
(7). Ulteriori incoraggiamenti alla verifica della fondatezza di tale
nesso giungono dal mondo della fiaba:
...
anche nel racconto di fate il serpente è un essere acquatico ... Le
rappresentazioni del serpente custode delle acque s'incontrano già
presso i popoli primitivi ... Al pari del serpente inghiottitore, anche
quello acquatico era in origine un essere temibile ma in fondo benefico:
è colui che dona le acque, più tardi diviene il creatore della
fecondità tanto della terra quanto degli uomini. In che modo nasce il
motivo della lotta contro il serpente? Esteriormente, per quanto
concerne il soggetto, compare il motivo dell'abuso di poteri da parte
del serpente: nella sua qualità di essere acquatico egli trattiene
l'acqua e provoca la siccità, oppure al contrario, ne vomita una
quantità tale da causare il diluvio
(8).
Si
profila, sempre più distintamente, la possibilità che anche il
serpente di Monte Acuto, nella versione consegnataci dalla credenza
popolare, sia un superstite della folta schiera di Ofidi signori delle
acque che popolarono, e in parte tuttora popolano, le località nelle
quali le acque sotterranee si manifestano abbondantemente, o in modo
tale da impressionare la mentalità primitiva, e ai quali fu assegnata
la custodia del regno infero, per assimilazione alla Luna-donna. La
scena dell'avvolgimento del cercatore può, a questo punto, configurarsi
come una lotta col serpente vòlta ad impedirgli di inghiottire l'acqua
e provocare la siccità. Ed è la stessa nudità del cercatore a porre
l'accento, significativamente, sulla relazione molto stretta esistente
fra donna, serpente ed erotismo da una parte e fertilità della terra
dall'altra
(9).
Il divieto di muoversi e di rompere il silenzio, imposto
al cercatore del tesoro, si può considerare un'allusione a prove
iniziatiche un tempo espresse, forse, più dettagliatamente e più
esplicitamente nel racconto. Della funzione di custode del regno dei
morti svolta dal serpente s'incontrerà, nel
paragrafo che segue,
una curiosa testimonianza.
3. Il serpente solare
Quando, circa dieci anni fa, due amici, cacciatori entrambi, mi
narrarono il “mitico" incontro del loro collega col "regolo", prima di
liquidare il racconto come frutto di esagerazione o di errata
osservazione di una biscia partoriente dalla livrea eccezionalmente
vivace, ritenni prudente avviare un’indagine sui serpenti nostrani e
delle regioni limitrofe alla ricerca di qualche analogia. Inutile dire che ogni tentativo fu vano:
la specie, se pure era esistita, era confinato nel regno delle fiabe. E
fu appunto aggirandomi in quel reame popolato dai fantasmi di antichi
drammatici personaggi che alcuni anni dopo, abbandonata ormai ogni
velleità di classificazione, m'imbattei nella descrizione di un serpente
finalmente affine al “regolo” e la cui strana metamorfosi spiegava come
mai nella Valle delle Laque coabitassero due rettili dalla natura
pressoché opposta acquatica quella
dell'uno, solare quella dell'altro, stante la nota assimilazione
dell’ oro al sole:
Il serpente acquatico s'immaginava come un essere vivente negli stagni e
nei bacini, nei fiumi, nei mari e anche sulla terra. Ma questi bacini
fungono anche da ingresso nell’altro regno. La strada per l'altro regno
passa per le fauci del serpente e per l’acqua, in mezzo all'acqua in un
primo tempo e in un secondo tempo sull’ acqua. Questo ci porta a
esaminare il serpente come guardiano. L'ufficio di guardiano di serpente
acquatico è evidente: egli sta accanto all'acqua e nell'acqua e la
custodisce. Ma anche il serpente montano è connesso, in fondo, non con
le alture, bensì con le grotte perché si credeva che, al pari dei
bacini, le grotte fossero un accesso all'altro regno…Possiamo osservare
come il serpente che gli uomini immaginavano vivente in mezzo all’acqua
sulla terra comincia a trasferirsi in una lontananza più o meno
fantastica. Questo spostamento si riconnette con l'apparire delle
rappresentazioni spaziali, con l’apparire delle rappresentazioni sul
viaggio del defunto. Il serpente che in origine viveva in determinati
stagni e laghi (sicché la gente aveva perfino paura di passarci accanto)
più tardi si trasferisce dall’inizio del viaggio del morto alla fine di
questo viaggio. Questo spostamento può essere di due specie: il serpente
viene spostato mentalmente verso
l'interno della terra, cioè diviene un essere ctonio, oppure al
contrario, lo si trasferisce verso le altezze celesti
e diviene un essere celeste, solare e igneo ... Come abbiamo
accennato, il serpente si trasferisce non solo nelle profondità della
terra, ma anche in cielo. Non è possibile, tuttavia, determinare
esattamente quando e in quale stadio di evoluzione sociale avvenga
questo spostamento dell'inghiottitore e del serpente acquatico. I popoli
cui è noto il serpente solare sono tutti più civili di quelli che non lo
conoscono. La rappresentazione del serpente celeste non esiste ancora, a
esempio, nel continente australiano ... Questo trasferimento ha avuto
una serie di conseguenze. In primo luogo muta l'oggetto
dell'inghiottente. Il serpente non inghiottisce più uomini, inghiottisce
il sole e viene ucciso in quanto inghiottitore del sole. D'altro canto,
talora è egli stesso il sole. Seconda conseguenza: da amministratore
delle acque terrestri si converte in amministratore delle acque celesti:
appare come nuvola che trattiene l'acqua, la pioggia. L'uccisione del
serpente provoca la pioggia ... Abbiamo qui i germi della
rappresentazione sviluppatasi più tardi presso i popoli agricoltori,
secondo la quale il serpente è l'inghiottitore del sole. I sostenitori
della mitologia solare ritengono questa rappresentazione molto antica,
primitiva. Ciò non è esatto: presso i cacciatori il sole ha
un'importanza minima
(10).
Il
"regolo", quindi, potrebbe essere una nostra vecchia conoscenza: il
serpente acquatico che sta trasferendosi dalla sua sede di origine nel
cielo e sta trasformandosi, da signore delle acque sotterranee, in
signore delle acque meteoriche, assumendo qualità solari, dopo che di
queste ultime acque fu riconosciuta la necessità per l'allevamento del
bestiame e per l'agricoltura; ed è singolare la circostanza che, nel
nostro racconto, spettatore di tale metamorfosi sia proprio un
cacciatore!
Rimane ancora un dettaglio del quale occuparsi: le piccole orecchie del
"regolo". Per comprenderne il significato è sufficiente ricordare che
Cerbero, il guardiano dell'ingresso di un regno dei morti ben più famoso
della nostra valle, aveva tre teste di cane e la coda di serpente, che
tradiva la sua originaria natura di serpente-custode. L'antico guardiano
subì quindi ulteriori modificazioni del suo aspetto ed assunse le
fattezze del custode per antonomasia, il cane. Il "regolo" può essere
considerato, pertanto, lo stadio iniziale della metamorfosi del serpente
acquatico in rettile-cane o anche, più precisamente, mancando nel nostro
caso la testa di cane, in drago-custode.
4. La sconfitta del
serpente
La
lunga storia del serpente sta per giungere all'epilogo. Le sue antiche
funzioni connesse con i riti di iniziazione, di propiziazione della
fertilità e con la custodia del regno dell'aldilà cessarono quando, in
una grotta che si apre sul fianco del Monte di S. Angelo, apparve S.
Michele in persona per garantire ad alcuni viandanti il passaggio
indenne attraverso la valle
(11).
Da allora visse nella memoria e nei racconti degli abitanti dei centri
vicini e, sotto la perenne minaccia della spada dell'Arcangelo, in una
tela di maniera posta sull'altare maggiore della chiesa che, fin dal
1251, fu edificata accanto alla grotta
(12).
Il dipinto oggi, purtroppo, è perduto. A S. Michele, giova ricordarlo:
secondo la tradizione popolare ... era stato assegnato da Dio
l'intervento sulle acque, che mediante la sua protezione venivano
purificate e difese dal male. L'iconografia locale, molto numerosa, lo
ritrae sempre vestito da guerriero mentre sconfigge il drago. Si ritiene
che la sua introduzione, iniziata in Italia nei secoli quinto e sesto,
per opera dei monaci persiani, abbia avuto seguito con l'intervento dei
bizantini e dei longobardi. Questi ultimi, di cui era protettore,
introdussero il suo culto nelle plaghe più isolate, in luogo di divinità
salutari delle acque ...(13).
I
poteri sulle acque meteoriche, detenuti dall'antico serpente, passarono
in tal modo all'Arcangelo e tuttora, nei periodi di siccità, numerosi
pellegrini convengono dai centri circostanti nella chiesa e nella grotta
in cui apparve per impetrare la grazia della pioggia ed alcune
iscrizioni, poste all'interno della chiesa, attestano la continuità di
tale pratica devozionale e propiziatoria
(14).
|
Monte di S.
Angelo, circa 1945: momenti di un pellegrinaggio compiuto per ottenere la grazia
della pioggia
|
Romitorio di S.Angelo, 4 maggio 1961: processione per impetrare
la pioggia
|
5. La tessitrice
misteriosa
«... una "Signora" tesse da tempo immemorabile con un telaio d'oro.» La
tradizione non avrebbe potuto essere più laconica. Ciò nonostante, se la
"Signora" non lascia trapelare nulla di sé, tranne il fatto che è
tessitrice, il telaio presenta una particolarità che, nel mondo della
fiaba e più in generale in quello della mitologia, è di grande
importanza:
Tutto ciò che è connesso in qualche modo col reame lontano [il regno
dell'aldilà] può assumere la tinta dell'oro...Gli oggetti che l'eroe
deve procurarsi nel reame lontano sono quasi sempre d'oro...Nella fiaba
di Finist, bel falco la fanciulla che è venuta nell'altro regno per
cercare il suo diletto acquista tre notti in cambio d'un fuso d'oro col
fondo d'argento, di un piatto d'argento con piccole uova d'oro e di un
telaietto d'oro con un piccolo ago. All'abitatrice di quel regno, alla
principessa, è sempre inerente qualche attributo aureo
(15).
L'elencazione di esempi che provano l'associazione dell'oro agli Dei, ai
morti e agli iniziati, a coloro cioè che tornarono dal viaggio compiuto
nel regno dei morti, potrebbe continuare a lungo. Basti ricordare che
Pitagora "a riprova della sua iniziazione e della sua divinità affermava
di avere le estremità d'oro e mostrava anche, all'occorrenza, una coscia
d'oro" o che "gl'imperatori romani si cospargevano il viso di polvere
d'oro; e così si spiegano anche le maschere d'oro funebri di Micene"
(16).
Il telaio d'oro non può
trovarsi, quindi, se non all'interno del regno dei morti, posto nelle
viscere della montagna, del quale la "Signora" altri non è che la
divinità tutelare, la signora assoluta
(17).
Rileggiamo a questo punto l'inizio del paragrafo "Il serpente acquatico".
Vi si accenna, tra l'altro, al complesso Luna – pioggia – fecondità –
donna – serpente – morte - rigenerazione periodica. Se dell'insieme
parziale serpente – pioggia - fecondità sono state presentate, nei
paragrafi precedenti, significative connessioni con le figure del
serpente e del cercatore di tesori, analoghi rapporti dovremo attenderci
di poter stabilire tra l'insieme Luna – donna – morte - rigenerazione
periodica e le figure della tessitrice e del telaio d'oro. Di
quest'ultimo sono stati posti in evidenza il carattere funerario e il
legame col regno dell'aldilà; della prima si può affermare che non
finirà mai di tessere la tela della vita e della morte:
La Grande Madre è la Signora del tempo, in quanto Signora della
crescita. La Grande Dea quindi è anche una dea lunare, poiché la luna e
il cielo notturno sono le manifestazioni evidenti e visibili della
temporalità del cosmo, ed è la luna, non il sole, l'autentico cronometro
dell'era primordiale. La qualità temporale, così come l'elemento acqua,
vanno ascritti al Femminile, la cui natura fluente diviene evidente
simbolo del flusso del tempo... Anche il mistero primordiale della
tessitura e della filatura è stato esperito nella proiezione sulla
Grande Madre che tesse la vita e fila la matassa del fato, sia essa una
grande tessitrice, sia essa, come spesso appare, una triade lunare. Le
Grandi Dee sono, dunque, in Egitto, in Grecia, presso i Germani e i
Maya, tessitrici; e poiché la realtà è opera delle grandi tessitrici,
tutte le attività, come l'intrecciare, il tessere, il legare,
l'annodare, ecc., rientrano nelle azioni femminili determinanti il
fato... Il significato del tessere comprende - al pari di tutto ciò che
è archetipico - una dimensione sia negativa, sia positiva; la filatura
del fato si registra in tutte le Grandi Madri, siano esse Neith, Natet e
Iside Ilitia o Atena, Urdhr, Holda, Percht o Ixchel
così come nelle streghe e nelle fiabe
(18).
La
"Signora" ci appare ora nelle sue vere sembianze, quelle di una Grande
Dea, il cui nome rimane per ora sconosciuto
(19),
la quale, avendo cumulato le virtù della luna, della terra e della
vegetazione, tesse, con il telaio della vita, le esistenze di tutti gli
esseri viventi nella valle, pronta a riceverli, quando il filo di
ciascuno si spezzerà, nuovamente nel suo grembo dentro la montagna.
Introdursi nella grotta e vedere la "Signora" equivale quindi a morire,
perché si è penetrati nell'aldilà. Questa "morte" è alla base di ogni
rito di rigenerazione, di rinascita ad una vita non più mortale.
Complessivamente i primi due racconti potrebbero essere considerati
relitti di antiche tradizioni concernenti riti della fertilità e di
iniziazione.
6. II carro tirato dai
vitelli
L'immagine della Santa compatrona di Cingoli che percorre con assiduità
la valle su un carro tirato da vitelli da latte tante volte da lasciare
i solchi sulla roccia si cercherebbe invano nelle sue numerose
biografie. Si tratta presumibilmente di gesta che appartennero a
un'altra importante figura
femminile dalla quale fu preceduta e della quale, come già accadde a S.
Michele arcangelo riguardo ai poteri del serpente, assunse
inevitabilmente qualche attributo. Ebbene, il vitello è un noto
attributo delle antiche Madri, del loro aspetto di divinità materne e
lunari:
Il flusso primordiale come mucca o la mucca come prima creatura
emergente dal flusso primordiale sono pure simboli della dimensione
materna creatrice del mondo. Essa è conforme ad altre figure di mucca
del mito egiziano: Hathor, la Grande Dea madre dalla testa di mucca, e
la Dea celeste Nut, che imbeve la terra della sua pioggia-latte e porta
sul suo dorso il dio solare. L'appartenenza a questo contesto
dell'antico segno del 12° distretto egiziano, da cui provenne Iside, con
la sua immagine di mucca e vitello (il suo nome: il Vitello) è evidente;
e lo stesso vale per le note maioliche cretesi con le immagini di mucca,
vitello, capra e capretti
(20).
È
interessante citare anche un sintetico profilo della dea egiziana
Bastet:
In Occidente è nota come la dea primordiale e universale. Il suo culto
era già antico nella prima dinastia; ... Il carattere matriarcale
risulta in lei più evidente che in qualunque altra dea egiziana. Signora
della magia e della tessitura, viene celebrata con processioni, fiaccole
e con misteri, come la Dea non nata, che discende da se stessa ... come
mucca con 18 stelle, essa è il cielo notturno, ed essendo, come in
seguito Ecate, colei che
apre la via, essa possiede la chiave che appartiene alle dee della
fertilità, la chiave che apre le porte dell'utero e del mondo infero,
della morte e della rinascita
(21).
Lo
stesso autore, inoltre, sul motivo del seno, riferito alla Grande Madre,
scrive:
Nel motivo dei seni rientra il simbolismo del latte e della mucca. La
dea come mucca e signora della mandria che dà nutrimento è uno dei
contenuti culturali più antichi della storia a noi noti ...(22).
E, infine, a proposito della riassunzione delle sembianze antropomorfe
da parte della dea, accompagnata però dall'animale nelle cui forme si
era precedentemente manifestata:
Come sappiamo, la dea appare spesso come animale, mucca e uccello
acquatico, pecora matricina e leone;... Come in seguito, tuttavia non è
più l'oca, ma troneggia su di essa oppure porta sul suo abito i simboli
della vita e l'animale, come non è più la leonessa, ma sta sulla
leonessa, non è più il serpente ma è spesso accompagnata dal serpente,
così a un livello più elevato domina quale divinità antropomorfa nel
mondo degli animali ...(23).
È
quindi possibile prendere in considerazione l'ipotesi che i vitelli, la
cui memoria ci è stata tramandata dalla tradizione orale e dei quali la
stessa ha posto in evidenza la condizione di lattanti, rientrino
anch'essi nel complesso quadro delle manifestazioni e degli attributi
della "Signora" dal telaio d'oro e, in particolare, alludano alla sua
originaria manifestazione come
mucca divina, alla sua capacità generatrice e al suo dominio sugli
animali da lei dipendenti in quanto dispensatrice dell'acqua e del latte
necessari alla loro vita. 7. Considerazioni
toponomastiche
Da quanto fin qui
esposto si delinea la possibilità che il complesso montuoso che
circoscrive la Valle delle Laque, e la valle stessa, siano stati
anticamente uno dei numerosi microcosmi soggetti a una divinità
femminile, una manifestazione locale della Grande Madre, e,
contemporaneamente il luogo in cui si praticarono riti della fertilità
e di iniziazione e nel quale si apriva l'ingresso del mondo infero. In
breve, un ambiente nel quale il sacro si manifestò attraverso le forme
e i mezzi della religiosità antica. Si tratta di una possibilità alla
quale le seguenti considerazioni su alcuni toponimi presenti nell'area
esaminata sembrano conferire ulteriore credibilità. Spiccano, per
primi, il Fosso della Botte e il Fosso dell'Acqua Viva (1GM F. 117 II
S.O.), situati entrambi presso l'imbocco della Valle, muovendo da
Grottaccia verso Colcerasa, affluente di destra del Rio Laque il primo,
di sinistra il secondo. Considerando che un luogo, in via generale, non
prende il nome da un evento occasionale, a meno che questo non abbia
rivestito grande importanza, ma che, al contrario, il nome o ne
definisce la peculiarità geografica o ricorda lontani ragguardevoli
eventi ad esso collegati, sorge spontanea la domanda: che botte mai fu
quella che caduta presumibilmente nel fosso, ne determinò il nome, e
cosa conteneva? Anche in questo caso il mondo della fiaba fornisce uno
spunto interessante. Durante l'iniziazione, in origine, il serpente era
l'inghiottitore del fanciullo, il quale sperimentava in tal modo la
morte rituale. Talvolta in luogo del serpente, era inghiottito da un
pesce:
Prima di continuare
l'analisi del serpente dovremo fermarci e includere nel nostro studio un
altro motivo che viene in parte illuminato dai materiali già citati:
vogliamo parlare del motivo dell'eroe nella botte, nel cesto o nel
palischermo calati in acqua Il motivo dell’eroe nella botte è affine
a quello dell'eroe dentro il pesce e ne costituisce una derivazione.
Citiamo un caso tolto da una fiaba di Vjatka. "Mi acciuffarono, mi
misero in una botte con cerchi di ferro e la calarono in acqua. Per sei
mesi me ne stetti là dentro né vivo né morto. Poi, per mia fortuna,
la botte si fermò sulla spiaggia col buco all’insù.
Appare un lupo. "Pian pianino lo legai per la coda e gli
piantai il temperino nel sedere. Ed egli partì trascinando la mia botte
sui ceppi e sulle radici. E fracassò tutta la botte e mi lasciò andare
a casa, vivo per miracolo." Nel lupo che viene ad annusare la botte
e che la sfonda riconosciamo facilmente gli animali che liberano
dall'esterno l'eroe rinchiuso nel pesce ... La calata nella botte viene
motivata in vari modi ma esiste un complesso in cui essa entra
organicamente: questo complesso è formato dalla predizione che il re
perirà per mano di un fanciullo; costui viene calato in acqua educato
in segreto da un pastore o da un giardiniere, spesso insieme con altri
ragazzi e più tardi sale al trono. Se la nostra congettura è esatta,
la permanenza nella botte corrisponde alla permanenza nel ventre del
pesce, l'educazione segreta insieme con altri ragazzi, corrisponde al
periodo di vita in comune degli iniziandi sotto la guida d'un anziano, e
tutto il complesso costituisce la condizione per l'acquisto delle facoltà
necessario a un capo, la condizione cioè, per l'avvento al trono
(24).
Per rimanere nel regno
della fiaba, all'animale che interveniva per salvare il rinchiuso, in
genere uccelli, lupi, ecc., sembra faccia eco, fra i toponimi che
designano le pendici di Monte Acuto, Petto del Lupo
(25).
Riguardo al Fosso dell'Acqua Viva, che scorre lungo l'altro fianco della
valle, a poca distanza dalla grotta nella quale apparve S. Michele
arcangelo, quasi a costituire l'ultima tappa di un percorso che abbia
incluso l'intera valle, basti ricordare che:
II prototipo [dell'acqua
salutare] è "l'acqua viva", che un'ulteriore speculazione ha
talvolta proiettato nelle regioni celesti, a somiglianza del soma
celeste, della haoma bianca in cielo, ecc. L'Acqua Viva, le
fontane di giovinezza, l'Acqua di Vita ecc. sono le formule mitiche di
una stessa realtà metafisica e religiosa: nell'acqua abitano la vita,
il vigore e l'eternità. Naturalmente quest'acqua non si può avere né
facilmente, né da tutti. È custodita da mostri, si trova in territori
difficilmente penetrabili, la possiedono divinità o demoni, ecc. La
strada per raggiungere la sorgente e conquistare l'"acqua
viva" implica una serie di consacrazioni e di "prove",
precisamente come la ricerca dell'"albero
della vita" ... L'"acqua viva" ringiovanisce e dà la
vita eterna, qualsiasi acqua,
per un processo di partecipazione e degradazione che risulterà più
chiaro nel corso di
quest'opera, è efficace, feconda o medicinale
(26).
L'"acqua
viva", quindi, è anch'essa legata a riti di iniziazione e, come
tale, è difesa da mostri. Nel nostro caso abbiamo osservato come essa
si trovi all'imbocco della valle e scorra lungo il suo fianco destro. Il
mostro che presumibilmente la custodiva, sconfitto poi da S. Michele,
abitava però in una grotta posta oltre l'acqua stessa verso l'interno
della valle; ciò è strano: i guardiani, se realmente il serpente della
grotta di S. Angelo era il custode dell'acqua viva", si pongono
prima del bene prezioso non dopo. Questa difficoltà è superabile se si
suppone che il percorso iniziatico avesse il suo principio dal Fosso
della Botte e, attraverso tappe intermedie disseminate lungo la valle,
conducesse al Fosso dell'Acqua Viva, prima del quale, come custode, si
sarebbe in tal caso incontrato il drago. Ci soccorre ancora una volta,
come nelle fiabe, Propp, con i suoi preziosi paralleli tra fiaba e
mitologia:
Tra queste cose merita
particolare attenzione l'acqua viva e morta e la sua varietà,
l'acqua forte e debole. L'acqua viva e quella morta non sono
antitetiche, esse si completano a vicenda. "Spruzzò il reuccio Ivàn
con l'acqua morta e il suo corpo si ricompose; lo spruzzò con l'acqua
viva e il reuccio Ivàn sorse in piedi". Tale è la formula
canonica dell'uso di quest'acqua. A questo punto sorgono due problemi:
primo, di dove viene quest'acqua? Secondo, perché si sdoppia? Perché
non si può semplicemente spruzzare il morto con l'acqua viva, come del
resto avviene in qualche raro caso? Per rispondere a questa domanda
esamineremo alcuni casi che si riferiscono alla fede dei Greci in una
vita nell'oltretomba. Le rappresentazioni dell'antichità classica che
si riconnettono presso i Greci con la fede in una vita ultraterrena, si
associavano abbastanza spesso, a quanto pare, con la rappresentazione di
due tipi di acque del regno sotterraneo, come mostrano chiaramente, ad
esempio, le tavole dell'Italia meridionale. Così la tavoletta d'oro di
Petilia, che si metteva nella bara del defunto, dice all'anima del morto
che nella casa di Ade egli vedrà due sorgenti diverse, una a mano
sinistra e l'altra a destra. Accanto alla prima sorge un bianco
cipresso, ma non è questa la sorgente cui l'anima deve accostarsi. Le
tavole ordinano all'anima di volgersi verso destra, laddove dallo stagno
di Mnemosine scorre l'acqua ristoratrice, circondata dai suoi guardiani.
A essi deve rivolgersi l'anima e dire: "Io vengo meno dalla sete!
Datemi da bere!" Esaminiamo più attentamente questo testo.
Anch'esso ci parla di due acque: la prima non è vigilata e non
rappresenta nessun beneficio per il defunto; l'altra, invece, è molto
accuratamente vigilata, e prima di dargli di quest'acqua, il morto viene
interrogato. Che acqua è? Nel testo non è chiamata né viva né morta.
Ma è un beneficio per il morto, è un'acqua per i morti, o, in altre
parole, è un'acqua "morta". È lecito supporre che
quest'acqua calmi il morto, vale a dire gli dia la morte definitiva o il
diritto di dimorare nelle regioni di Ade.
Ma a che serve allora l'altra acqua, quella che sta a sinistra e
non è vigilata da nessuno? Ciò non risulta dal testo suddetto. In base
a qualche parallelo si può supporre che sia "l'acqua di
vita", l'acqua per i morti che non entrano nell'inferno, ma ne
tornano. Prima dell'ingresso nell'Ade quest'acqua non produce alcun
effetto, e perciò non è vigilata ... Se le congetture più sopra
esposte sono esatte, esse gettano qualche luce anche sull'acqua
"forte" e sulla "debole". Queste acque stanno a
destra e a sinistra del nuovo venuto, si trovano nella cantina della
maga o presso il serpente. Sia la maga che il serpente sono i custodi
dell'ingresso nel regno
dell'aldilà. Il serpente sta a guardia del fiume e del ponte che
conducono nel regno lontano. "L'acqua forte sta a destra del ponte,
quella debole a sinistra". Prima della battaglia queste acque
vengono scambiate. L'eroe beve l'acqua "forte", uccide il
serpente e penetra nell'altro regno. L'analogia col materiale greco più
sopra citato è abbastanza completa, ma non è tuttavia assoluta. Alla
domanda quale acqua beve l'eroe, se quella viva (cioè per vivi) o
quella morta (cioè per i morti) non è possibile dare una risposta
precisa. Qui l'esattezza e il senso originario si sono già perduti, si
sono cancellati
(27).
Lasciamo anche noi
sospesa la questione dell'acqua viva e morta, vi torneremo sopra in
seguito, brevemente.
Conclusione
Inevitabilmente questa esposizione, corredata per necessità di lunghe
citazioni di brani riguardanti i racconti di fate e la mitologia, ha
acquistato anch'essa il sapore di una fiaba, di una fiaba moderna che
cerca di spiegarne altre più antiche. Pur permanendo l'incertezza di
alcuni paralleli e di alcune deduzioni, dovuta sia alla frammentarietà
dei testi conservatici dalla tradizione sia alla ristrettezza del tempo
disponibile per la ricerca dei materiali con gli stessi confrontabili,
ritengo che la "tessitrice" e il "serpente" siano in
fondo soddisfatti dell'attenzione loro rivolta, che li ha riscattati da
un'esistenza trascorsa nell'ombra, nella clandestinità e affidata
all'aleatorio veicolo della tradizione orale. Possono anche concedersi,
dall'alto di Monte Acuto, un sorriso di condiscendenza verso di noi,
poveri mortali.
Questi personaggi mitici, al contrario di quelli delle fiabe, sono
rimasti ancorati ai luoghi che furono teatro delle loro manifestazioni.
Ciò consente e giustifica un ulteriore sforzo interpretativo: quello di
individuare la grotta ove risiedeva la "tessitrice", alla
quale si accedeva mediante gradini scavati nella roccia. La risposta non
è difficile: chiunque abbia compiuto un pellegrinaggio alla grotta di
Santa Sperandia la conosce: prima che una desolante colata di cemento li
ricoprisse, una lunga serie di gradini tagliati sull'abisso, nella viva
roccia, conduceva alla grotta, la quale, a sua volta, prima che la
disastrosa solerzia di un eremita imitata di recente da incauti fautori
del moderno ad ogni costo ne modificasse l'aspetto, comunicava con
l'esterno tramite un pertugio; era cioè una grotta vera e propria, non
l'inoffensivo attuale riparo sotto roccia
(28).
L' "acqua morta", inoltre, potrebbe essere identificata con
quella del Fosso della Botte, essendo sinonimo di morte rituale l'essere
calati in acqua entro questo recipiente. E il percorso che doveva
compiere l'iniziando, infine, sembra individuabile, a partire da quel
fosso, attraverso i boschi di Monte Acuto, in ripida ascesa,
presumibilmente superati con l'aiuto dell'animale soccorritore, il lupo,
fino alla grotta dagli scalini di roccia, all'interno della quale si era
obbligati a trascorrere un periodo di segregazione e dalla quale,
attraverso tappe per ora non ipotizzabili, l'iniziando perveniva, dopo
aver affrontato e superato il temibile custode, sul Monte di S. Angelo,
all'acqua che gli avrebbe restituito la "vita"
(29).
È
superfluo precisare che tali deduzioni non pretendono che si accordi
loro altro valore che quello spettante a una lusinghiera ipotesi di
lavoro. E, perché questa non rimanga sospesa nel limbo
dell'indimostrabilità, occorreranno l'apporto di nuovi dati da
esaminare e una più accurata disamina di tutti i materiali utilizzati
per la presente ricerca, l'interesse della quale ritengo consista
nell'aver tentato di penetrare i significati più riposti di alcune
tradizioni orali cingolane e conseguentemente nell'aver additato la
possibilità di collegare i reperti della cultura materiale, raccolti in
abbondanza nella valle e riferibili a forme economiche ed aspetti
culturali diversi, all'insieme delle credenze religiose delle
popolazioni che li produssero.
Collegamento la cui attuazione richiederà
tempo e ricerche interdisciplinari, sempre che la ricerca archeologica
non venga preclusa dalla progressiva opera di devastazione che ferve
nella valle
(30).
|
|
Reperti
neo-eneolitici rinvenuti nella Valle delle Laque - Rio
S'impone a questo punto un epilogo, tanto amaro quanto necessario. La
Valle delle Laque e i monti che la circondano, sui cui balzi vivono
asfodeli gialli in compagnia di arbusti di leccio, di caprifico e di
erica, abbarbicati a rupi che racchiudono i resti fossilizzati di esseri
vissuti milioni di anni fa, sono lacerati in più punti, troppi, da cave
di pietrisco che sconvolgono la loro maestosa severità naturale.
Questa valle, disseminata di testimonianze di insediamenti preistorici,
custode di memorie medioevali di interesse religioso, etnografico ed
artistico, rischia di subire, per la dimensione assunta da tali
devastazioni, la distruzione delle peculiarità che la elevano per
importanza storica al di sopra del restante territorio cingolano. Essa
va trasformandosi da possibile antico regno dei morti in un moderno
assordante cimitero nel quale stiamo seppellendo la porzione di Natura
che ci è stata affidata e la nostra storia più antica, gettandole
sconsideratamente in un frantoio.
Avrei voluto concludere
rivolgendo l'invito a visitarla in una notte di luna. I riflessi
dell'astro sui bianchi massi affioranti avrebbero consentito di scorgere
da lontano il lento incedere della Tessitrice assisa sul suo carro; lo
stormire del vento avrebbe accompagnato il brontolìo del fiume
infernale; un fruscio improvviso l'apparire del custode squamoso prima
di giungere, col cuore in gola, a dissetarci con l'acqua della vita.
Avremmo quindi atteso che il sole dissolvesse a poco a poco, come gocce
di rugiada, le illusioni più tenaci. Ma questa evasione dal quotidiano
nella preistoria e nell'aldilà" è già improponibile e tra non
molto sarà impossibile: sono scomparsi i solchi del carro processionale,
sono spezzati da voragini gli antichi sentieri, il fiume infero è in
pietosa agonia, ovunque si volge lo sguardo soltanto ferite. Eppure è
di evasioni come questa che oggi c'è bisogno: sono le meno pericolose,
spesso le più appaganti, senz'altro le più ricche di insegnamenti. E
domani ne avremo necessità. Ed io temo che anche quel poco che resta di
integro nella valle diventi materia per una brutta storia del nostro
tempo, che anche quel poco scompaia, triturato, ignominiosamente, nel
regno del "c'era una volta". Sarebbe la peggior favola da
raccontare ai nipoti.
L'invito che rivolgo è a visitarla, finché si è in tempo, per
meditare su quanto abbiamo perduto, per assistere alla quotidiana
polverizzazione di un segmento della nostra memoria ancestrale, di un
ambiente il cui valore paesaggistico, vegetazionale, storico e turistico
è incommensurabile rispetto a quello del comune pietrisco che vi si
estrae
(31).
A me piace ricordarla come la vidi la prima volta, da
ragazzo, quando intuii che era un luogo diverso dagli altri, che nei
suoi antri nascondeva strane presenze, timorose di mostrarsi alla luce;
e come la vide, prima di me, e la dipinse, Donatello Stefanucci,
fissandone il tormentato profilo in una delle sue più struggenti vedute
(32). La sua fisionomia arcaica possiede la capacità di innescare in
noi il meccanismo della retrocessione nel tempo fino alle epoche più
remote della nostra storia, che, attraverso le vestigia in essa
conservate o recuperate, rivediamo come nelle pagine di un libro scritto
e illustrato per noi dalla Natura, libro di cui esiste un solo
esemplare, del quale non dobbiamo consentire che si faccia scempio.
Tratto da:
P, Appignanesi,
Il serpente e la tessitrice, in
P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana,
Cingoli 1986, pp. 389-421
(1)
Incompleta e con alcune variazioni la leggenda è stata pubblicata
in Guida all'Italia leggendaria, misteriosa insolita
fantastica, Milano, 1967, vol. II, pp. 158 -159.
Le
variazioni sono: i cercatori sono due, uno dei quali è addetto
unicamente a scavare il tesoro; il cercatore che attende
l'apparizione del serpente ha denudato soltanto il braccio destro;
i cercatori che rompono il silenzio sono "scaraventati così
lontano" che di loro non si sa più nulla; manca la menzione
della tessitrice.
Un
accenno al latente contenuto ritualistico del primo racconto e
all'importanza delle acque salutari che scaturiscono nella valle
si trova in P. Appignanesi, Archeologia e tradizioni, in
"Jesi e la sua valle", anno XII, 7 luglio 1973, p. 39.
(2)
Devo il racconto ai sigg. Piergiorgio Battistelli e Corrado
Battaglia, continuatori delle antiche tradizioni venatorie
cingolane.
(3)
Questa ed altre memorie sperandiane riguardanti la Valle delle
Laque mi sono state narrate dalla signora Adele Crescimbeni
Bacelli che le ha apprese dal padre Manlio, originario della
frazione di Castel S. Angelo.
(4)
Sui possibili rapporti fra i motivi fiabeschi o i racconti
popolari e alcune forme della religione e della cultura dei
primitivi si veda P. Toschi, II Folklore, Roma, 1969, pp.
120 -134, alla cui bibliografia si rimanda.
(5)
Le frequenti citazioni utilizzate in funzione di commento
sono tratte da M. Eliade, Trattato di storia delle religioni,
Torino, 1970, V. J. Propp, Le radici storiche dei racconti
di fate, Torino, 1972 e E. Neumann, La Grande Madre,
Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio.
Roma, 1981, opere alle quali si rimanda per l'approfondimento dei
paralleli proposti fra le tradizioni orali esaminate e alcuni
aspetti del mito e della fiaba.
(6)
M. Eliade, cit. pp. 175-176.
(7)
II corso d'acqua che attraversa la valle assume varie
denominazioni: nel tratto iniziale quella di Fosso le Laque,
successivamente quella di Torrente Rudielle (IGM F. 117II S.O.)
benché la sua denominazione popolare sia quella di Rio Laque, il
rio delle acque, con allusione forse alle acque per eccellenza o
ad acque comunque particolari che un tempo presumibilmente
formavano acquitrini essendo attestato fin dal 1644 il toponimo
"Pian delle Laque dell'Avenale" (Cfr. Avicenna, Memorie
... cit., In strumento contenente gl'atti fatti dal P.
Bacilliero ecc., p. 13). La presenza alle due estremità della
valle di toponimi includenti la specificazione le Laque e delle
Laque giustifica il nome ad essa assegnato, nel presente
contributo, di Valle delle Laque. Il carattere infero del Fosso
delle Laque e particolarmente della sorgente omonima, localmente
detta "la Sbocca" (da bocca con s -
estrattivo), è posto in evidenza dalla seguente tradizione orale
riferitami da Mario Crescimbeni, di Cingoli, che la ascoltò da
sua madre, Giulia Sopranzetti, e dalla sig. Nerina Giorgi,
entrambe originarie della frazione di Castel S. Angelo:
La
sorgente della "Sbocca", circondata da tife e da canne
palustri, ha circa 12 metri di circonferenza e una profondità
sconosciuta (i sassi che vi si gettano scompaiono presto alla
vista e non producono alcun rumore). Vi si scorgono nel mezzo, per
la trasparenza dell'acqua, due bianchi massi sommersi che devono
essere guardati da lontano altrimenti risucchiano l'osservatore.
Se si passa accanto ad essa nelle chiare notti di luna piena si
sentono strani rumori giungere dalla profonda cavità sotterranea;
a produrli sono i vani tentativi di riemergere compiuti da un
contadino che una volta, percorrendo al buio la valle e
avvicinatosi troppo alla sorgente, fu inghiottito con il suo
biroccio carico di fascine e munito di sterza (avantreno). I due
massi, infatti, altro non sono che le vacche aggiogate al suo
carro che si sforzano disperatamente di uscire dall'abisso senza
mai riuscirci. Anche sul Monte di S. Angelo si apre una grotta
della quale non si conosce la profondità. Una volta due frati
provarono ad esplorarla. Di loro non si seppe più nulla (notizia
fornitami da A. Cavalletti di Cingoli).
(8)
V. J. Propp, cit. pp. 404-407.
(9)
M. Eliade, cit. p. 269.
(10)
V. J. Propp, cit. pp.420-426.
(11)
Sull'apparizione dell'Arcangelo nella grotta cfr. P.
Appignanesi, Testimonianze medioevali in Cingoli, in
Cingoli dalle origini al sec. XVI... cit., pp. 132
-133.
(12)
Cfr. sull'antichità del culto nella grotta G. Avarucci. A.
Salvi, Le iscrizioni medioevali... cit., n. 39, p. 86.
(13)
V. Dini, II potere delle antiche Madri, Fecondità e culti
delle acque nella cultura subalterna toscana, Torino, 1980,
p. 133.
(14)
Non sorprenda tale continuità:
II culto delle acque -
specialmente quello delle fonti ritenute curative, dei pozzi
termali, delle saline ecc - dimostra un'impressionante
continuità. Nessuna rivoluzione religiosa ha potuto abolirlo;
alimentato dalla devozione popolare, il culto delle acque finì
per essere tollerato perfino dal cristianesimo, dopo le inutili
persecuzioni medioevali. (La reazione cominciò fin dal IV
secolo, con san Cirillo di Gerusalemme. Le interdizioni
ecclesiastiche si ripeterono senza interruzione, dal secondo
Concilio di Arles - 443 o 452 - al Concilio di Treviri nel 1227.
Inoltre, un numero notevole di apologie, pastorali e altri testi
segnano le tappe della lotta della Chiesa contro il culto delle
acque). La continuità cultuale si estende talvolta dall'epoca
neolitica ai giorni nostri. Cosi, presso la fonte termale di
Grisy (comune di Saint-Symphorien-de-Marmagne), si sono trovati
oggetti votivi neolitici e romani. Simili tracce del culto
neolitico (selci spezzate volutamente, in segno di ex-voto)
furono trovate nella fonte detta di Saint-Sauver (foresta di
Campiègne). Sorto nella preistoria il culto si trasmise ai
Galli, poi ai Gallo-Romani, dai quali lo ricevette e lo assimilò
il cristianesimo A Saint Moritz si conservarono, fino a questi
ultimi anni, antichi luoghi di culto dell’ età del bronzo. Nel
comune di Bertinoro, in provincia di Forlì, presso un pozzo
moderno di acqua cloro-salina si trovarono tracce cultuali
dell'età del bronzo. In Inghilterra, accanto a tumuli
preistorici e monumenti megalitici, troviamo sorgenti ritenute
benefiche o miracolose dalle popolazioni. Finalmente merita di
essere ricordato il rituale che si praticava al lago di
Saint-Andréol (nei Monti Aubrac) descritto da san Gregorio di
Tours (544 - 595). La gente vi andava in calesse e celebrava la
festa per tre giorni sulle sponde del lago, portandogli offerte
di biancheria, vestiti, lana filata, formaggio, torte, ecc. Il
quarto giorno scoppiava una violenta tempesta seguita da pioggia
(evidentemente si trattava di un rito barbaro per impetrare la
pioggia). Il prete Parthenius, dopo aver inutilmente tentato di
persuadere i contadini ad abbandonare quelle cerimonie pagane,
costruì una chiesa ove la gente finì per deporre le offerte
destinate al lago. Tuttavia l’usanza di gettare nelle acque del
lago oggetti logori e torte si conservò fino al secolo XIX; i
pellegrini gettavano nel lago, senza capire il senso del loro
gesto, camicie e calzoni (E., pp. 207-208).
(15)
V. J. Propp, cit. p. 452.
(16)
V.
J. Propp, cit. p. 473.
(17)
Riguardo al collegamento dell'oro col regno dei morti,
nell'antichità, valga un'altra tradizione narratami da A.
Cavalletti, cingolano, che la ascoltò dal nonno paterno, secondo
la quale in una valle contigua alla nostra, chiusa da una
cerchia di alte colline e da Monte Acuto, denominata Valle
Sorda, giocavano con bocce d'oro tre "saracì"(saraceni):
"Guido il Bello, Barbarossa e Scannamorti". È facile
riconoscere la natura infernale dei tre (nel numero un'allusione
al tricefalo guardiano degli inferi?): il primo, come il
Lucibello delle fiabe, sta per Lucifero; per il secondo è
sufficiente il rimando al Barbariccia dantesco; Scannamorti
è infine, per così dire, un appellativo parlante. L'aggettivo
saraceno, come è noto, qualificò indistintamente nel Medio
Evo sia ciò che era pre-cristiano sia ciò che era non cristiano.
Un esempio di tale uso di questa voce riferita a testimonianze
dell'antichità classica è fornito dal sito prossimo alla Valle
delle Laque sul quale giacciono i ruderi di una villa rustica
romana, denominato appunto Piana dei Saraceni (Cfr. E. Percossi,
M. Silvestrini, Situazioni abitative, presenze e
frequentazione dalla preistoria all'età romana nel territorio di
Cingoli, in Cingoli dalle origini al sec. XVI... cit., n.
7, pp. 26-27
(18)
E. Neumann, cit. pp. 227-228.
(19)
Identificare la dea non è per ora possibile. Per la vicinanza
del territorio cingolano a quelli di Cupra Montana e di Pollenza,
nei quali esistettero santuari dedicati rispettivamente alle dee
Cupra e Bona Dea (cfr. B. Tesei, Cupra Montana antica città
del Piceno, Monsano, 1970 e A. Nestori Rambona e la sua
abbazia. Roma, 1984), divinità entrambe assimilabili alla
latina Fauna, non è fuori luogo tentare un accostamento della
nostra "Signora" a tali dee, sulla base di quanto recentemente
sulle stesse è stato scritto:
Anche se, come scrive il Wissowa,
«l'antica concezione di questa bona dea Fauna tuttavia si
è fortemente oscurata per il fatto che un culto greco [il culto
di Damia] penetrato a Roma si è impossessato del nome di Bona
Dea in modo da mettere, almeno nel culto pubblico, completamente
in ombra le idee antiche», il poco che ne sappiamo ci permette
di considerarla fra una delle varie manifestazioni della italica
«Signora degli animali». Poiché Bona Dea appare innanzitutto
come una pothnia draconton, «una signora dei serpenti»:
un serpente era presso la sua statua, serpenti domestici (...)
erano nutriti nel suo tempio, senza contare che nel mito si dice
che Fanno «transfigurasse se tamen in serpentem (...)
et coisse con lei... A questa stregua Bona Dea
può essere in rapporto con la dea dei Marsi Angitia, cui
va probabilmente attribuita una statuetta femminile
lungo-vestita, con un serpente nella mano sinistra alzata,
rinvenuta presso il lago Fucino... Stessa cosa di
Angitia, è certamente quella dea Ancaria o
Anchera,
ricordata da Tertulliano, a cui rimandano le varie località
Ancarano nel Piceno ... In tale qualità [quella di conoscitrice
delle virtù segrete delle erbe che crescono nei boschi] Bona
Dea si rivelava la sorella di tutta una serie di divinità
femminili: da Diana, nel suo duplice aspetto di signora del
mondo animale e vegetale, alla stessa Angitia (che la
contaminatio
greca voleva addirittura sorella della maga Medea)... a Circe,
infine, dispensatrice famosa di filtri vegetali, anche in
funzione della sua dignità di pothnia theròn o «signora
degli animali». (Cfr. Renato Del Ponte, Dei e miti italici.
Archetipi e forme della sacralità romano-italica, Genova,
1986, pp. 171 -173, cui si rimanda per eventuali approfondimenti
e per la bibliografia). Non c'è dubbio che la nostra "Signora"
si troverebbe a suo agio in compagnia di tali divinità, o, per
citare parentele più nobili, accanto ad Era - la dea dagli occhi
di vacca - le cui bianche vacche furono rapite da Hermes.
(20)
Idem, pp. 219-220.
(21)
Idem, p. 222
(22)
Idem, p. 128.
(23)
Idem, p. 276.
(24)
V. J. Propp cit., pp. 387-389.
(25)
II toponimo è desunto dalla tradizione orale ed è ben noto
ai cacciatori cingolani che frequentano la valle. La pronuncia
locale è Pettu de u lupu. Il dialetto cingolano conserva
tuttora la voce pettarellu (piccolo petto) che ha il
significato di breve e ripido pendio. Il toponimo può quindi
corrispondere a "pendio ripido" o "erta del
lupo". Il suo accostamento alla locuzione Peto di
lupo (ant. petto): vescia (Lycoperdon) non mi sembra
sostenibile sia perché il nome locale di tale fungo è Lòffa
de cà, sia perché in quella località non ne crescono più
che altrove, sia perché nel Cingolano allo stesso non veniva,
fino a qualche anno fa, attribuito alcun valore alimentare sia,
infine, perché il luogo designato dal toponimo è realmente un
pendio assai ripido.
(26)
M. Eliade cit., pp. 199-200.
(27)
V. J. Propp cit., pp. 314-316.
(28)
L'ingresso era in origine assai stretto: "Questa grotta
ha la bocca larga un piede, o poco più, dentro è una stanza
longa, di piedi dicisette, larga piedi venticinque, alta piedi
tredici, vi sono tre stanziole pur cavate nel sasso, una che ha il
camino, et è alta tredici piedi, cupa dentro al sasso, piedi
otto, l'altra dove dormiva è cupa dentro al sasso piedi
quattordici, alta otto, la terza è cupa piedi quattordici, alta
otto, e si entra per andare da una stanza all'altra per un buscio
largo due piedi per ogni banda." (T. Franceschini, Istoria
della vita della gloriosa Santa Sperandia protettrice di Cingoli,
Fermo, 1602, p. 9).
Il
conte Servanzi Collio, nella seconda metà del secolo scorso,
visitò e descrisse la grotta. Così gli apparvero gli scalini:
"A mezzo il monte, rasente lo scoglio si presenta una piccola
scala angusta e malsicura, rozzamente incavata, la quale è così
erta, e tanto inclinata, che sembra discendere quasi
perpendicolarmente dall'alto."
(S. Servanzi-Collio, La grotta di Santa Sperandia, Camerino
1876, p. 5).
La
demolizione della parete esterna della grotta risale agli anni
1839 -1840 e a commentarne le conseguenze basteranno le parole
dell'autore testé citato: "Vi dimorava [nel fabbricato
annesso alla chiesa di S. Michele arcangelo, sul monte omonimo]
nell'anno 1839, certo fra Andrea Majolatesi terziario Camaldolese,
il quale stante la vicinanza di luogo saliva spesso a visitare la
grotta della nostra Santa per recitarvi orazioni, e per ispirarsi
viemmeglio alle virtù di Lei. E poiché non di rado altri vi
accedevano a pregare, e vi lasciavano tabelle e voti, quali segni
visibili di grazie riportate, divisò di eriggervi una piccola
Chiesa. Ma a ciò effettuare con minore dispendio, risolvette di
demolire l'umile casolare, e con lo stesso materiale costruire la
nuova fabbrica. E senza alcun indugio ottenute appena le opportune
facoltà da Monsignor Filippo Saverio dei Conti Grimaldi vescovo
della Città di Sanseverino, nel cui raggio diocesano è la
grotta, i locali erano atterrati, e la chiesa spiccava da terra.
Dopo ciò essendo venuto meno il denaro, cominciò a raccogliere
limosine, quali non gli vennero negate da chicchesia, per cui
immantinente ravviata quella costruzione fu in brevissimo tempo
condotta a fine in modo, che nell'autunno del 1840, essa di nulla
mancava. Ma se vogliasi plaudire allo zelo del buon Eremita, non
può non deplorarsi la distruzione delle mura santificate dalle
diurne, e notturne orazioni di Sperandia, bagnate dalle lagrime di
penitenza, e forse dal vivo sangue di Lei, che tanto crudo governo
faceva delle sue delicate membra. Né ai devoti sarebbe mancato un
caro monumento, che avrebbe risvegliato in loro religiose
rimembranze." (Idem, p. 7).
L'accenno
di T. Franceschini a una "stanza" fornita di camino
induce inoltre a prendere in considerazione due toponimi:
Callarelle e Rudielle (F. 124 I N.O.) che designano il tratto di
fondovalle sottostante alla grotta. La derivazione del primo dal
lat. tardo calidarìa (olla), "recipiente
riscaldante" non presenta difficoltà; del secondo può
ipotizzarsi la derivazione dal lat. rudis, is, (f.),
bastoncello, bacchetta" ma anche "ramaiolo,
mestolo". Entrambi sono accomunati dalla desinenza diminutiva
che rende gli oggetti che essi ricordano piccoli, quasi avessero
subito una riduzione dovuta alla lontananza nel tempo o a quel
particolare processo per cui oggetti già importanti ma caduti in
disuso o in disgrazia continuano tuttavia ad essere costruiti o
ricordati in dimensioni ridotte scadendo spesso al rango di
trastullo o di materia di racconti per bambini. E non può
sfuggire a questo punto il possibile collegamento di questi
oggetti con la "stanza" del camino posta all'interno
della grotta e con le caldaie tramandate dai racconti mitologici e
fiabeschi e legate al mondo infero e a riti di rinascita tra le
quali basti qui ricordare quella in cui venne smembrato e bollito
Dioniso:
Nella
storia di Ino lo sdoppiamento del motivo fa sì che si sia
mantenuta anche la caldaia, che in effetti è collegata con
Dioniso. Anche costui è infatti un dio che muore e che
rivive…Il bambino [Zagreo], figlio di Zeus e di Demetra o
Persefone ... viene smembrato da due Titani o Cureti e le sue
membra vengono cotte in una caldaia di acqua bollente. Dalla
storia di Demetra sappiamo che lo smembramento e la bollitura sono
un processo di resurrezione. Mentre infatti la saga narra che le
membra lacerate e bollite di Zagreo vengono sepolte e che da esse
germoglia la vite, nelle figure vascolari nere il giovane salta
sano e vivace fuori della caldaia avvolta di tralci (M.
Riemschneider, Miti pagani e miti cristiani, Milano, 1973,
pp. 77 ss.).
La
memoria di tali riti sarebbe sopravvissuta anche alla
"fine" del paganesimo:
Uno
dei più ricchi sedimenti in cui i miti pagani si sono conservati
fino ad oggi è rappresentato dalla leggenda cristiana ... Se ora
cerchiamo fra i santi bambini, il più vivido e simpatico è Vito.
Egli viene sempre rappresentato come un bambino seduto in una
caldaia di olio, dalla quale esce vivo. A questo proposito si andò
formando a poco a poco tutto uno schema. Ma la coincidenza di
bambino e caldaia non è causale. (Ibidem)
Per
lo stesso motivo della resurrezione attraverso una prova connessa
con il fuoco si vedano i paragrafi Squartati e richiamati in
vita e La stufa della maga in Propp. La circostanza infine che
i due toponimi designano siti posti entrambi ai piedi del dirupo
che separa la grotta dal rio sottostante sembra suggerire che gli
oggetti ricordati da lassù siano rotolati o siano stati gettati
allorché i riti per i quali erano stati utilizzati furono
abbandonati o esecrati.
(29)
II ruolo di custode delle acque svolto dal serpente è posto
in evidenza da una tradizione che qui ripropongo, secondo la quale
santa Sperandia, volendo dissetarsi con l'acqua della valle, ne fu
impedita dal demonio che tentò di affogarla lanciandole contro un
masso di parecchi quintali di peso la cui corsa fu però fermata
dall’ intervento di S. Michele al quale la Santa si era subito
rivolta. Il masso è tuttora al suo posto presso la grotta di S.
Angelo (cfr. P. Appignanesi, Testimonianze medioevali, cit., pp.
132-133).
Riguardo
alla localizzazione dell'acqua viva" e di quella
"morta" sono da prendere in considerazione anche le due
conserve d’acqua, ricavate entrambe nella roccia, site l'una a
ridosso della Grotta di S Angelo con la quale un tempo era in
comunicazione, e l'altra a poche decine di metri dalla Grotta di
santa Sperandia. Della prima posta sotto la diretta
custodia del drago sconfitto dall'Arcangelo, non conosciamo il
nome, ma non è da escludere la possibilità che esso alludesse
alle capacità salutari e salvifiche dell'acqua che tuttora vi si
deposita. T. Franceschini tramanda invece il nome della seconda:
«... fonte Acitona o Acitosa,
ch’ è lontana dalla grotta un tiro di Balestra, e si
dice, che quando l'acqua è, e scatorisce in questa fonte fuori
della grotta, non è punto, né scatorisce dentro, e quando appar
dentro non è né scatorisce fuori, ch’ è segno l'acqua esser
miracolosa, e nata solo per servigio di questa Santa.» (Istoria
della vita…. cit., pp. 9 - 10). E’ evidente il
collegamento tra la grotta e l'acqua "acitosa", ma più
importa qui sottolineare che si tratta di un'acqua pungente, acre
e che, se è vero che all'interno della grotta s'incontrava la
morte rituale, la presenza vicino all'antro di un'acqua con
caratteristiche negative potrebbe connettersi con il rito stesso;
un'acqua forte, amara, come amara è la consapevolezza dell'esito
ineluttabile della vicenda umana, un'acqua per i
"morti".
La
circostanza, infine, che due corsi d'acqua e due modeste acque
stillanti siano identificabili con l'"acqua viva e con
l’acqua morta" potrebbe essere attribuita all'evoluzione e
alle conseguenti trasformazioni subite dai riti ai quali le stesse
furono collegate e fu forse sotto l'impulso di una innovazione
cultuale che si verificò lo spostamento delle acque infere
dall'imbocco all'interno della valle, mantenendo però la
precedente collocazione dell'acqua negativa sul versante sinistro,
di quella positiva su quello destro.
(30)
La valle ha restituito numerose testimonianze di
frequentazioni umane durante la preistoria, conservate in gran
parte nel Museo civico di Cingoli. Esse vanno dal paleolitico
medio alla media età del bronzo ed interessano le stesse grotte
di Santa Sperandia e di S. Angelo (cfr. E. Percossi, M.
Silvestrini, Situazioni abitative ... cit., nn. 14 - 17, 19
- 22, 24 e 26). La perlustrazione della valle con intenti
scientifici, soprattutto dei suoi numerosi ripari sotto roccia, è
ancora da compiere.
(31)
Sul Monte di S. Angelo e su Monte Acuto si aprono tuttora
antiche cave di calcare. Furono attive fino al 1940 circa e i
materiali che vi si estraevano furono impiegati per rivestire e
ornare di mostre gli edifici pubblici e privati di Cingoli e della
provincia maceratese (O. Avicenna, Memorie ... cit., p.
234).
La
conservazione di tali grotte artificiali si impone in quanto
testimonianze di tecniche estrattive tradizionali, materia di
studio della neonata archeologia industriale nonché, più in
generale, per il loro interesse turistico. Prima che l'acqua della
sorgente della Sbocca fosse utilizzata per l'acquedotto di
Botontano, lungo il Rio Laque, ricco di trote, vivevano alcune
lontre che erano oggetto di una limitata caccia per la loro
pregevole pelliccia (notizia riferitami da Cesare Paoli di
Cingoli, come propria esperienza). Nel sec. XVII, quando la
pastorizia era l'attività economica prevalente nella frazione di
Avenale, sulla valle volteggiava ancora l'avvoltoio grifone: «Stanno
quasi per così dire conficcati nelle falde di questa montagna
[Monte Acuto] molti ombrosi specchi, antri e concavi sassi alti,
et alpestri, che sono nidi d'Aquile et Avol toi.» (0. Avicenna,
ibidem). La locuzione dialettale pare 'n cellu grifò, in
uso fino a pochi anni fa nel Cingolano per descrivere una persona
molto arruffata, va forse riferita a tale antica presenza.
(32)
II dipinto fu esposto alla II° Biennale di Roma (1923), col
titolo "Montagne Picene" e fu definito da un paesaggista
della tempra di Carlandi "il più bello di quanti ne
ospitasse quell'esposizione" (R. Strinati, Giovane arte
picena contemporanea. Roma, s.d. (1929 ?), pag. 82.
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