1. La tradizione orale  

- In una grotta che si apre sulle pendici di Monte Acuto, il rilievo lungo il quale corrono i confini dei territori di Cingoli, Treia e S. Severino, una "Signora" tesse da tempo immemorabile con un telaio d'oro. Per impossessarsi del telaio occorre salire sul monte, a mezzanotte, denudarsi, sostenere un bicchiere pieno d'acqua e attendere che un grosso serpente, dopo aver avvolto il nostro corpo nelle sue spire senza che un gesto o una parola tradiscano la nostra emozione, si protenda verso il bicchiere e ne beva l'acqua. Soltanto allora avremo libero accesso ai gradini scavati nella roccia che conducono alla grotta e al telaio. Nessun cercatore di tesori, però, è mai riuscito a giungere fino alla "Signora": sopraffatti dalla paura, rotto irrimediabilmente il silenzio, tutti si sono ritrovati a molti chilometri di distanza, trasportati da un vento improvviso, privi di sensi, abbandonati in mezzo a cespugli di rovo (1).

- Un giorno un cacciatore, dopo aver rincorso la preda attraverso i boschi della Valle delle Laque, tra Monte Acuto, il Monte di S. Angelo e il Monte Carcatora, si trovò improvvisamente in uno spiazzo erboso mai visto prima di allora, nonostante conoscesse quei luoghi fin da bambino. Nel  mezzo della radura, acciambellato, c'era il "regolo", il re dei serpenti, che somiglia un po' al ramarro ma ha piccole orecchie ed è notevolmente più grosso di qualsiasi serpente che viva alle nostre latitudini. Quando si muove genera un rumore metallico, simile a quello prodotto da un barattolo che rotoli. È color d'oro ed emana vivi bagliori. Dopo un attimo di stupore il cacciatore imbracciò il fucile e prese la mira ma il serpente, sibilando assordantemente, si alzò in volo in uno splendore abbagliante; accecato dalla luce, frastornato dal sibilo penetrante, il cacciatore perse i sensi. Quando si riebbe del "regolo" non c'era più traccia, c'erano soltanto, nel punto dal quale si era sollevato, tanti piccoli serpenti di varie specie (2).  

- Prima che fosse costruita la strada che oggi attraversa la Valle delle Laque  si scorgevano di tanto in tanto, sul naturale fondo roccioso, i solchi lasciati dalle ruote del carro di S. Sperandia, tirato da due vitelli da latte (3).

Ascoltare un anziano abitante dei centri rurali di Cingoli mentre racconta le antiche storie riguardanti il luogo natìo e rimanere colpiti dal contrasto fra il piglio grave e perentorio del narratore e la stranezza dei personaggi che popolano i suoi racconti è pressoché inevitabile: scrofe che trascinano catene, serpenti luminosi che volano, regine lapidate dai bambini del proprio reame, ecc., simboli e protagonisti dei quali gli sfuggono ormai il senso originario e i nomi. Se poi l'ascoltatore, vinta la confusione, chiede qualche chiarimento, non ottiene che un pò d'imbarazzo e la giustificazione che i fatti narrati furono ascoltati dai vecchi che a loro volta li appresero dai loro genitori... e tanto basti. La loro credibilità poggia quindi sulla garanzia di una ininterrotta trasmissione orale e sul rispetto del principio di autorità, in nome del quale il narratore pretende attenzione e considerazione.

Nei tre brevi racconti sopra citati, relitti di tradizioni presumibilmente più complesse e articolate alle quali mancò l'apporto di un novellatore-poeta per assurgere al rango di fiaba, compaiono alcuni dei suddetti bizzarri personaggi, l'apparizione dei quali è talora accolta dagli ascoltatori con un sorriso per metà scettico, per metà divertito. Ma, in realtà, esistettero quei personaggi? chi furono? perché sono rimasti così a lungo in vita?

Il presente contributo è il tentativo di trovare risposte soddisfacenti a questi interrogativi relativamente ai protagonisti dei tre racconti, le cui gesta si svolsero tutte nell'ambito della Valle delle Laque, un luogo circondato da piccoli centri (Avenale, Grottaccia, Colcerasa, Castel S. Angelo) nei quali la forza conservatrice si è esercitata costantemente. Quest'ultima osservazione ci ponga sull'avviso: le tradizioni orali tuttora viventi in località fortemente conservatrici possono affondare le radici nel mito e negli antichi riti di iniziazione; converrà essere prudenti, smettere il sorriso divertito: stiamo forse per entrare in domini un tempo assegnati agli Dei o sul punto di conoscere riti la cui divulgazione era severamente proibita; un gesto o una parola di troppo, come nel racconto tradizionale, porterebbero al fallimento dell'impresa (4).  Ci guideranno nel labirinto dei simboli uno storico delle religioni, uno studioso dei racconti di fate e uno psicologo analista, ai quali lascerò il compito di commentare le azioni e i temi che i tre racconti, in forma irrigidita e frammentaria, ci hanno tramandato, riservandomi brevi interventi là dove palesi analogie consentiranno di formulare ipotesi o di trarre caute conclusioni (5).

Prima di entrare nel vivo della ricerca, che qui necessariamente sarà limitata agli interrogativi più interessanti posti dai racconti, occorre considerare che nella prima narrazione il serpente si presenta come guardiano della grotta nella quale si trovano la "Signora" e il telaio ed è associato all’acqua, che deve bere: è quindi un essere ctonio, custode di un ambiente sotterraneo, ed è legato all’elemento acqua; nel secondo, al contrario, ha una chiara natura ignea, solare (splendente come l’oro), ed è legato all’elemento aria stante la sua capacità di volare. Si tratta di una distinzione, come si vedrà, di grande importanza.

   

2. Il serpente acquatico  

Nel mondo antico e in alcune religioni contemporanee il serpente è spesso associato alla luna e alla donna. Sono note le divinità mediterranee presentate con serpenti in mano (Artemide arcade, Ecate, Persefone ecc.) o con chioma di serpenti (Gorgone, Erinni, ecc.). Queste Grandi  Dee partecipano tanto al carattere sacro della luna che a quello del suolo  ed essendo esse anche divinità funebri (i morti vanno sotto terra o nella  luna per rigenerarsi e ricomparire sotto forma nuova) il serpente:

diviene l'animale funebre per eccellenza, quello che incarna le anime dei morti, l’antenato ecc. Sempre con questo simbolo di rigenerazione si spiega la presenza del serpente nelle cerimonie di iniziazione.

Inoltre:

l'intuizione della Luna, in quanto norma dei ritmi e fonte di energie…ha intessuto realmente una rete fra tutti i piani cosmici, creando simmetrie, analogie e partecipazioni fra fenomeni infinitamente vari... In questo modo incontriamo il complesso Luna-pioggia-fecondità-donna-serpente-morte-rigenerazione periodica, ma qualche volta abbiamo a che fare soltanto con gli insiemi parziali Serpente-donna-fecondità o Serpente-pioggia-fecondità... Leggende e miti innumerevoli ci rappresentano Serpenti o Draghi che dominano le nuvole, abitano nelle paludi e riforniscono d’acqua il mondo. Il legame fra serpenti e corsi d'acqua si è conservato perfino nelle credenze popolari europee (6).

Comincia così a delinearsi la possibilità di istituire un rapporto tra il nostro serpente, l'acqua e il regno sotterraneo dei morti (la grotta), possibilità corroborata dalla constatazione che nell'ampia valle abbondano sorgenti e corsi d'acqua (tra i principali la Sorgente delle Laque e il fosso omonimo, che la stessa alimentava prima di essere utilizzata per l’acquedotto di Botontano-Marcianello) e grotte con annesse conserve d’acqua scavate nella roccia (Grotta di S. Angelo e Grotta di Santa Sperandia) (7). Ulteriori incoraggiamenti alla verifica della fondatezza di tale nesso giungono dal mondo della fiaba:

... anche nel racconto di fate il serpente è un essere acquatico ... Le rappresentazioni del serpente custode delle acque s'incontrano già presso i popoli primitivi ... Al pari del serpente inghiottitore, anche quello acquatico era in origine un essere temibile ma in fondo benefico: è colui che dona le acque, più tardi diviene il creatore della fecondità tanto della terra quanto degli uomini. In che modo nasce il motivo della lotta contro il serpente? Esteriormente, per quanto concerne il soggetto, compare il motivo dell'abuso di poteri da parte del serpente: nella sua qualità di essere acquatico egli trattiene l'acqua e provoca la siccità, oppure al contrario, ne vomita una quantità tale da causare il diluvio (8).

Si profila, sempre più distintamente, la possibilità che anche il serpente di Monte Acuto, nella versione consegnataci dalla credenza popolare, sia un superstite della folta schiera di Ofidi signori delle acque che popolarono, e in parte tuttora popolano, le località nelle quali le acque sotterranee si manifestano abbondantemente, o in modo tale da impressionare la mentalità primitiva, e ai quali fu assegnata la custodia del regno infero, per assimilazione alla Luna-donna. La scena dell'avvolgimento del cercatore può, a questo punto, configurarsi come una lotta col serpente vòlta ad impedirgli di inghiottire l'acqua e provocare la siccità. Ed è la stessa nudità del cercatore a porre l'accento, significativamente, sulla relazione molto stretta esistente fra donna, serpente ed erotismo da una parte e fertilità della terra dall'altra (9).  Il divieto di muoversi e di rompere il silenzio, imposto al cercatore del tesoro, si può considerare un'allusione a prove iniziatiche un tempo espresse, forse, più dettagliatamente e più esplicitamente nel racconto. Della funzione di custode del regno dei morti svolta dal serpente s'incontrerà, nel paragrafo che segue, una curiosa testimonianza.  

3. Il serpente solare

Quando, circa dieci anni fa, due amici, cacciatori entrambi, mi narrarono il “mitico" incontro del loro collega col "regolo", prima di liquidare il racconto come frutto di esagerazione o di errata osservazione di una biscia partoriente dalla livrea eccezionalmente vivace, ritenni prudente avviare un’indagine sui serpenti nostrani e delle regioni limitrofe alla ricerca di  qualche analogia. Inutile dire che ogni tentativo fu vano: la specie, se pure era esistita, era confinato nel regno delle fiabe. E fu appunto aggirandomi in quel reame popolato dai fantasmi di antichi drammatici personaggi che alcuni anni dopo, abbandonata ormai ogni velleità di classificazione, m'imbattei nella descrizione di un serpente finalmente affine al “regolo” e la cui strana metamorfosi spiegava come mai nella Valle delle Laque coabitassero due rettili dalla natura pressoché opposta acquatica quella  dell'uno, solare quella dell'altro, stante la nota assimilazione dell’ oro al  sole:

Il serpente acquatico s'immaginava come un essere vivente negli stagni e nei bacini, nei fiumi, nei mari e anche sulla terra. Ma questi bacini fungono anche da ingresso nell’altro regno. La strada per l'altro regno passa per le fauci del serpente e per l’acqua, in mezzo all'acqua in un primo tempo e in un secondo tempo sull’ acqua. Questo ci porta a esaminare il serpente come guardiano. L'ufficio di guardiano di serpente acquatico è evidente: egli sta accanto all'acqua e nell'acqua e la custodisce. Ma anche il serpente montano è connesso, in fondo, non con le alture, bensì con le grotte perché si credeva che, al pari dei bacini, le grotte fossero un accesso all'altro regno…Possiamo osservare come il serpente che gli uomini immaginavano vivente in mezzo all’acqua sulla terra comincia a trasferirsi in una lontananza più o meno fantastica. Questo spostamento si riconnette con l'apparire delle rappresentazioni spaziali, con l’apparire delle rappresentazioni sul viaggio del defunto. Il serpente che in origine viveva in determinati stagni e laghi (sicché la gente aveva perfino paura di passarci accanto) più tardi si trasferisce dall’inizio del viaggio del morto alla fine di questo viaggio. Questo spostamento può essere di due specie: il serpente viene spostato mentalmente verso  l'interno della terra, cioè diviene un essere ctonio, oppure al contrario, lo si trasferisce verso le altezze celesti  e diviene un essere celeste, solare e igneo ... Come abbiamo accennato, il serpente si trasferisce non solo nelle profondità della terra, ma anche in cielo. Non è possibile, tuttavia, determinare esattamente quando e in quale stadio di evoluzione sociale avvenga questo spostamento dell'inghiottitore e del serpente acquatico. I popoli cui è noto il serpente solare sono tutti più civili di quelli che non lo conoscono. La rappresentazione del serpente celeste non esiste ancora, a esempio, nel continente australiano ... Questo trasferimento ha avuto una serie di conseguenze. In primo luogo muta l'oggetto dell'inghiottente. Il serpente non inghiottisce più uomini, inghiottisce il sole e viene ucciso in quanto inghiottitore del sole. D'altro canto, talora è egli stesso il sole. Seconda conseguenza: da amministratore delle acque terrestri si converte in amministratore delle acque celesti: appare come nuvola che trattiene l'acqua, la pioggia. L'uccisione del serpente provoca la pioggia ... Abbiamo qui i germi della rappresentazione sviluppatasi più tardi presso i popoli agricoltori, secondo la quale il serpente è l'inghiottitore del sole. I sostenitori della mitologia solare ritengono questa rappresentazione molto antica, primitiva. Ciò non è esatto: presso i cacciatori il sole ha  un'importanza minima (10).

Il "regolo", quindi, potrebbe essere una nostra vecchia conoscenza: il serpente acquatico che sta trasferendosi dalla sua sede di origine nel cielo e sta trasformandosi, da signore delle acque sotterranee, in signore delle acque meteoriche, assumendo qualità solari, dopo che di queste ultime acque fu riconosciuta la necessità per l'allevamento del bestiame e per l'agricoltura; ed è singolare la circostanza che, nel nostro racconto, spettatore di tale metamorfosi sia proprio un cacciatore!

Rimane ancora un dettaglio del quale occuparsi: le piccole orecchie del "regolo". Per comprenderne il significato è sufficiente ricordare che Cerbero, il guardiano dell'ingresso di un regno dei morti ben più famoso della nostra valle, aveva tre teste di cane e la coda di serpente, che tradiva la sua originaria natura di serpente-custode. L'antico guardiano subì quindi ulteriori modificazioni del suo aspetto ed assunse le fattezze del custode per antonomasia, il cane. Il "regolo" può essere considerato, pertanto, lo stadio iniziale della metamorfosi del serpente acquatico in rettile-cane o anche, più precisamente, mancando nel nostro caso la testa di cane, in drago-custode.

 

4. La sconfitta del serpente

La lunga storia del serpente sta per giungere all'epilogo. Le sue antiche funzioni connesse con i riti di iniziazione, di propiziazione della fertilità e con la custodia del regno dell'aldilà cessarono quando, in una grotta che si apre sul fianco del Monte di S. Angelo, apparve S. Michele in persona per garantire ad alcuni viandanti il passaggio indenne attraverso la valle (11).  Da allora visse nella memoria e nei racconti degli abitanti dei centri vicini e, sotto la perenne minaccia della spada dell'Arcangelo, in una tela di maniera posta sull'altare maggiore della chiesa che, fin dal 1251, fu edificata accanto alla grotta (12).  Il dipinto oggi, purtroppo, è perduto. A S. Michele, giova ricordarlo:

secondo la tradizione popolare ... era stato assegnato da Dio l'intervento sulle acque, che mediante la sua protezione venivano purificate e difese dal male. L'iconografia locale, molto numerosa, lo ritrae sempre vestito da guerriero mentre sconfigge il drago. Si ritiene che la sua introduzione, iniziata in Italia nei secoli quinto e sesto, per opera dei monaci persiani, abbia avuto seguito con l'intervento dei bizantini e dei longobardi. Questi ultimi, di cui era protettore, introdussero il suo culto nelle plaghe più isolate, in luogo di divinità salutari delle acque ...(13).

I poteri sulle acque meteoriche, detenuti dall'antico serpente, passarono in tal modo all'Arcangelo e tuttora, nei periodi di siccità, numerosi pellegrini convengono dai centri circostanti nella chiesa e nella grotta in cui apparve per impetrare la grazia della pioggia ed alcune iscrizioni, poste all'interno della chiesa, attestano la continuità di tale pratica devozionale e propiziatoria (14).  

 

 Monte di S. Angelo, circa 1945: momenti di un pellegrinaggio compiuto per ottenere la grazia della pioggia

 

Romitorio di S.Angelo, 4 maggio 1961: processione per impetrare la pioggia

 

5. La tessitrice misteriosa

«... una "Signora" tesse da tempo immemorabile con un telaio d'oro.» La tradizione non avrebbe potuto essere più laconica. Ciò nonostante, se la "Signora" non lascia trapelare nulla di sé, tranne il fatto che è tessitrice, il telaio presenta una particolarità che, nel mondo della fiaba e più in generale in quello della mitologia, è di grande importanza:

Tutto ciò che è connesso in qualche modo col reame lontano [il regno dell'aldilà] può assumere la tinta dell'oro...Gli oggetti che l'eroe deve procurarsi nel reame lontano sono quasi sempre d'oro...Nella fiaba di Finist, bel falco la fanciulla che è venuta nell'altro regno per cercare il suo diletto acquista tre notti in cambio d'un fuso d'oro col fondo d'argento, di un piatto d'argento con piccole uova d'oro e di un telaietto d'oro con un piccolo ago. All'abitatrice di quel regno, alla principessa, è sempre inerente qualche attributo aureo (15).

L'elencazione di esempi che provano l'associazione dell'oro agli Dei, ai morti e agli iniziati, a coloro cioè che tornarono dal viaggio compiuto nel regno dei morti, potrebbe continuare a lungo. Basti ricordare che Pitagora "a riprova della sua iniziazione e della sua divinità affermava di avere le estremità d'oro e mostrava anche, all'occorrenza, una coscia d'oro" o che "gl'imperatori romani si cospargevano il viso di polvere d'oro; e così si spiegano anche le maschere d'oro funebri di Micene" (16). Il telaio d'oro non può trovarsi, quindi, se non all'interno del regno dei morti, posto nelle viscere della montagna, del quale la "Signora" altri non è che la divinità tutelare, la signora assoluta (17).

Rileggiamo a questo punto l'inizio del paragrafo "Il serpente acquatico". Vi si accenna, tra l'altro, al complesso Luna – pioggia – fecondità – donna – serpente – morte - rigenerazione periodica. Se dell'insieme parziale serpente – pioggia - fecondità sono state presentate, nei paragrafi precedenti, significative connessioni con le figure del serpente e del cercatore di tesori, analoghi rapporti dovremo attenderci di poter stabilire tra l'insieme Luna – donna – morte - rigenerazione periodica e le figure della tessitrice e del telaio d'oro. Di quest'ultimo sono stati posti in evidenza il carattere funerario e il legame col regno dell'aldilà; della prima si può affermare che non finirà mai di tessere la tela della vita e della morte:

La Grande Madre è la Signora del tempo, in quanto Signora della crescita. La Grande Dea quindi è anche una dea lunare, poiché la luna e il cielo notturno sono le manifestazioni evidenti e visibili della temporalità del cosmo, ed è la luna, non il sole, l'autentico cronometro dell'era primordiale. La qualità temporale, così come l'elemento acqua, vanno ascritti al Femminile, la cui natura fluente diviene evidente simbolo del flusso del tempo... Anche il mistero primordiale della tessitura e della filatura è stato esperito nella proiezione sulla Grande Madre che tesse la vita e fila la matassa del fato, sia essa una grande tessitrice, sia essa, come spesso appare, una triade lunare. Le Grandi Dee sono, dunque, in Egitto, in Grecia, presso i Germani e i Maya, tessitrici; e poiché la realtà è opera delle grandi tessitrici, tutte le attività, come l'intrecciare, il tessere, il legare, l'annodare, ecc., rientrano nelle azioni femminili determinanti il fato... Il significato del tessere comprende - al pari di tutto ciò che è archetipico - una dimensione sia negativa, sia positiva; la filatura del fato si registra in tutte le Grandi Madri, siano esse Neith, Natet e Iside Ilitia o Atena, Urdhr, Holda, Percht o Ixchel  così come nelle streghe e nelle fiabe (18).

La "Signora" ci appare ora nelle sue vere sembianze, quelle di una Grande Dea, il cui nome rimane per ora sconosciuto (19), la quale, avendo cumulato le virtù della luna, della terra e della vegetazione, tesse, con il telaio della vita, le esistenze di tutti gli esseri viventi nella valle, pronta a riceverli, quando il filo di ciascuno si spezzerà, nuovamente nel suo grembo dentro la montagna. Introdursi nella grotta e vedere la "Signora" equivale quindi a morire, perché si è penetrati nell'aldilà. Questa "morte" è alla base di ogni rito di rigenerazione, di rinascita ad una vita non più mortale. Complessivamente i primi due racconti potrebbero essere considerati relitti di antiche tradizioni concernenti riti della fertilità e di iniziazione.

   

6. II carro tirato dai vitelli

L'immagine della Santa compatrona di Cingoli che percorre con assiduità la valle su un carro tirato da vitelli da latte tante volte da lasciare i solchi sulla roccia si cercherebbe invano nelle sue numerose biografie. Si tratta presumibilmente di gesta che appartennero a un'altra importante figura femminile dalla quale fu preceduta e della quale, come già accadde a S. Michele arcangelo riguardo ai poteri del serpente, assunse inevitabilmente qualche attributo. Ebbene, il vitello è un noto attributo delle antiche Madri, del loro aspetto di divinità materne e lunari:

Il flusso primordiale come mucca o la mucca come prima creatura emergente dal flusso primordiale sono pure simboli della dimensione materna creatrice del mondo. Essa è conforme ad altre figure di mucca del mito egiziano: Hathor, la Grande Dea madre dalla testa di mucca, e la Dea celeste Nut, che imbeve la terra della sua pioggia-latte e porta sul suo dorso il dio solare. L'appartenenza a questo contesto dell'antico segno del 12° distretto egiziano, da cui provenne Iside, con la sua immagine di mucca e vitello (il suo nome: il Vitello) è evidente; e lo stesso vale per le note maioliche cretesi con le immagini di mucca, vitello, capra e capretti (20).

È interessante citare anche un sintetico profilo della dea egiziana Bastet:

In Occidente è nota come la dea primordiale e universale. Il suo culto era già antico nella prima dinastia; ... Il carattere matriarcale risulta in lei più evidente che in qualunque altra dea egiziana. Signora della magia e della tessitura, viene celebrata con processioni, fiaccole e con misteri, come la Dea non nata, che discende da se stessa ... come mucca con 18 stelle, essa è il cielo notturno, ed essendo, come in seguito Ecate, colei  che apre la via, essa possiede la chiave che appartiene alle dee della fertilità, la chiave che apre le porte dell'utero e del mondo infero, della morte e della rinascita (21).

Lo stesso autore, inoltre, sul motivo del seno, riferito alla Grande Madre, scrive:

Nel motivo dei seni rientra il simbolismo del latte e della mucca. La dea come mucca e signora della mandria che dà nutrimento è uno dei contenuti culturali più antichi della storia a noi noti ...(22).

E, infine, a proposito della riassunzione delle sembianze antropomorfe da parte della dea, accompagnata però dall'animale nelle cui forme si era precedentemente manifestata:

Come sappiamo, la dea appare spesso come animale, mucca e uccello acquatico, pecora matricina e leone;... Come in seguito, tuttavia non è più l'oca, ma troneggia su di essa oppure porta sul suo abito i simboli della vita e l'animale, come non è più la leonessa, ma sta sulla leonessa, non è più il serpente ma è spesso accompagnata dal serpente, così a un livello più elevato domina quale divinità antropomorfa nel mondo degli animali ...(23).

È quindi possibile prendere in considerazione l'ipotesi che i vitelli, la cui memoria ci è stata tramandata dalla tradizione orale e dei quali la stessa ha posto in evidenza la condizione di lattanti, rientrino anch'essi nel complesso quadro delle manifestazioni e degli attributi della "Signora" dal telaio d'oro e, in particolare, alludano alla sua originaria manifestazione come mucca divina, alla sua capacità generatrice e al suo dominio sugli animali da lei dipendenti in quanto dispensatrice dell'acqua e del latte necessari alla loro vita.

7. Considerazioni toponomastiche

Da quanto fin qui esposto si delinea la possibilità che il complesso montuoso che circoscrive la Valle delle Laque, e la valle stessa, siano stati anticamente uno dei numerosi microcosmi soggetti a una divinità femminile, una manifestazione locale della Grande Madre, e, contemporaneamente il luogo in cui si praticarono riti della fertilità e di iniziazione e nel quale si apriva l'ingresso del mondo infero. In breve, un ambiente nel quale il sacro si manifestò attraverso le forme e i mezzi della religiosità antica. Si tratta di una possibilità alla quale le seguenti considerazioni su alcuni toponimi presenti nell'area esaminata sembrano conferire ulteriore credibilità. Spiccano, per primi, il Fosso della Botte e il Fosso dell'Acqua Viva (1GM F. 117 II S.O.), situati entrambi presso l'imbocco della Valle, muovendo da Grottaccia verso Colcerasa, affluente di destra del Rio Laque il primo, di sinistra il secondo. Considerando che un luogo, in via generale, non prende il nome da un evento occasionale, a meno che questo non abbia rivestito grande importanza, ma che, al contrario, il nome o ne definisce la peculiarità geografica o ricorda lontani ragguardevoli eventi ad esso collegati, sorge spontanea la domanda: che botte mai fu quella che caduta presumibilmente nel fosso, ne determinò il nome, e cosa conteneva? Anche in questo caso il mondo della fiaba fornisce uno spunto interessante. Durante l'iniziazione, in origine, il serpente era l'inghiottitore del fanciullo, il quale sperimentava in tal modo la morte rituale. Talvolta in luogo del serpente, era inghiottito da un pesce:

Prima di continuare l'analisi del serpente dovremo fermarci e includere nel nostro studio un altro motivo che viene in parte illuminato dai materiali già citati: vogliamo parlare del motivo dell'eroe nella botte, nel cesto o nel palischermo calati in acqua Il motivo dell’eroe nella botte è affine a quello dell'eroe dentro il pesce e ne costituisce una derivazione. Citiamo un caso tolto da una fiaba di Vjatka. "Mi acciuffarono, mi misero in una botte con cerchi di ferro e la calarono in acqua. Per sei mesi me ne stetti là dentro né vivo né morto. Poi, per mia fortuna, la botte si fermò sulla spiaggia col buco all’insù.  Appare un lupo. "Pian pianino lo legai per la coda e gli piantai il temperino nel sedere. Ed egli partì trascinando la mia botte sui ceppi e sulle radici. E fracassò tutta la botte e mi lasciò andare a casa, vivo per miracolo." Nel lupo che viene ad annusare la botte e che la sfonda riconosciamo facilmente gli animali che liberano dall'esterno l'eroe rinchiuso nel pesce ... La calata nella botte viene motivata in vari modi ma esiste un complesso in cui essa entra organicamente: questo complesso è formato dalla predizione che il re perirà per mano di un fanciullo; costui viene calato in acqua educato in segreto da un pastore o da un giardiniere, spesso insieme con altri ragazzi e più tardi sale al trono. Se la nostra congettura è esatta, la permanenza nella botte corrisponde alla permanenza nel ventre del pesce, l'educazione segreta insieme con altri ragazzi, corrisponde al periodo di vita in comune degli iniziandi sotto la guida d'un anziano, e tutto il complesso costituisce la condizione per l'acquisto delle facoltà necessario a un capo, la condizione cioè, per l'avvento al trono (24).

Per rimanere nel regno della fiaba, all'animale che interveniva per salvare il rinchiuso, in genere uccelli, lupi, ecc., sembra faccia eco, fra i toponimi che designano le pendici di Monte Acuto, Petto del Lupo (25). Riguardo al Fosso dell'Acqua Viva, che scorre lungo l'altro fianco della valle, a poca distanza dalla grotta nella quale apparve S. Michele arcangelo, quasi a costituire l'ultima tappa di un percorso che abbia incluso l'intera valle, basti ricordare che:

II prototipo [dell'acqua salutare] è "l'acqua viva", che un'ulteriore speculazione ha talvolta proiettato nelle regioni celesti, a somiglianza del soma celeste, della haoma bianca in cielo, ecc. L'Acqua Viva, le fontane di giovinezza, l'Acqua di Vita ecc. sono le formule mitiche di una stessa realtà metafisica e religiosa: nell'acqua abitano la vita, il vigore e l'eternità. Naturalmente quest'acqua non si può avere né facilmente, né da tutti. È custodita da mostri, si trova in territori difficilmente penetrabili, la possiedono divinità o demoni, ecc. La strada per raggiungere la sorgente e conquistare l'"acqua viva" implica una serie di consacrazioni e di "prove", precisamente come la ricerca  dell'"albero della vita" ... L'"acqua viva" ringiovanisce e dà la vita eterna, qualsiasi  acqua, per un processo di partecipazione e degradazione che risulterà più chiaro nel  corso di quest'opera, è efficace, feconda o medicinale (26).

L'"acqua viva", quindi, è anch'essa legata a riti di iniziazione e, come tale, è difesa da mostri. Nel nostro caso abbiamo osservato come essa si trovi all'imbocco della valle e scorra lungo il suo fianco destro. Il mostro che presumibilmente la custodiva, sconfitto poi da S. Michele, abitava però in una grotta posta oltre l'acqua stessa verso l'interno della valle; ciò è strano: i guardiani, se realmente il serpente della grotta di S. Angelo era il custode dell'acqua viva", si pongono prima del bene prezioso non dopo. Questa difficoltà è superabile se si suppone che il percorso iniziatico avesse il suo principio dal Fosso della Botte e, attraverso tappe intermedie disseminate lungo la valle, conducesse al Fosso dell'Acqua Viva, prima del quale, come custode, si sarebbe in tal caso incontrato il drago. Ci soccorre ancora una volta, come nelle fiabe, Propp, con i suoi preziosi paralleli tra fiaba e mitologia:

Tra queste cose merita particolare attenzione l'acqua viva e morta e la sua varietà, l'acqua forte e debole. L'acqua viva e quella morta non sono antitetiche, esse si completano a vicenda. "Spruzzò il reuccio Ivàn con l'acqua morta e il suo corpo si ricompose; lo spruzzò con l'acqua viva e il reuccio Ivàn sorse in piedi". Tale è la formula canonica dell'uso di quest'acqua. A questo punto sorgono due problemi: primo, di dove viene quest'acqua? Secondo, perché si sdoppia? Perché non si può semplicemente spruzzare il morto con l'acqua viva, come del resto avviene in qualche raro caso? Per rispondere a questa domanda esamineremo alcuni casi che si riferiscono alla fede dei Greci in una vita nell'oltretomba. Le rappresentazioni dell'antichità classica che si riconnettono presso i Greci con la fede in una vita ultraterrena, si associavano abbastanza spesso, a quanto pare, con la rappresentazione di due tipi di acque del regno sotterraneo, come mostrano chiaramente, ad esempio, le tavole dell'Italia meridionale. Così la tavoletta d'oro di Petilia, che si metteva nella bara del defunto, dice all'anima del morto che nella casa di Ade egli vedrà due sorgenti diverse, una a mano sinistra e l'altra a destra. Accanto alla prima sorge un bianco cipresso, ma non è questa la sorgente cui l'anima deve accostarsi. Le tavole ordinano all'anima di volgersi verso destra, laddove dallo stagno di Mnemosine scorre l'acqua ristoratrice, circondata dai suoi guardiani. A essi deve rivolgersi l'anima e dire: "Io vengo meno dalla sete! Datemi da bere!" Esaminiamo più attentamente questo testo. Anch'esso ci parla di due acque: la prima non è vigilata e non rappresenta nessun beneficio per il defunto; l'altra, invece, è molto accuratamente vigilata, e prima di dargli di quest'acqua, il morto viene interrogato. Che acqua è? Nel testo non è chiamata né viva né morta. Ma è un beneficio per il morto, è un'acqua per i morti, o, in altre parole, è un'acqua "morta". È lecito supporre che quest'acqua calmi il morto, vale a dire gli dia la morte definitiva o il diritto di dimorare nelle regioni di Ade.  Ma a che serve allora l'altra acqua, quella che sta a sinistra e non è vigilata da nessuno? Ciò non risulta dal testo suddetto. In base a qualche parallelo si può supporre che sia "l'acqua di vita", l'acqua per i morti che non entrano nell'inferno, ma ne tornano. Prima dell'ingresso nell'Ade quest'acqua non produce alcun effetto, e perciò non è vigilata ... Se le congetture più sopra esposte sono esatte, esse gettano qualche luce anche sull'acqua "forte" e sulla "debole". Queste acque stanno a destra e a sinistra del nuovo venuto, si trovano nella cantina della maga o presso il serpente. Sia la maga che il serpente sono i custodi dell'ingresso nel  regno dell'aldilà. Il serpente sta a guardia del fiume e del ponte che conducono nel regno lontano. "L'acqua forte sta a destra del ponte, quella debole a sinistra". Prima della battaglia queste acque vengono scambiate. L'eroe beve l'acqua "forte", uccide il serpente e penetra nell'altro regno. L'analogia col materiale greco più sopra citato è abbastanza completa, ma non è tuttavia assoluta. Alla domanda quale acqua beve l'eroe, se quella viva (cioè per vivi) o quella morta (cioè per i morti) non è possibile dare una risposta precisa. Qui l'esattezza e il senso originario si sono già perduti, si sono  cancellati (27).

Lasciamo anche noi sospesa la questione dell'acqua viva e morta, vi torneremo sopra in seguito, brevemente.

 

Conclusione  

Inevitabilmente questa esposizione, corredata per necessità di lunghe citazioni di brani riguardanti i racconti di fate e la mitologia, ha acquistato anch'essa il sapore di una fiaba, di una fiaba moderna che cerca di spiegarne altre più antiche. Pur permanendo l'incertezza di alcuni paralleli e di alcune deduzioni, dovuta sia alla frammentarietà dei testi conservatici dalla tradizione sia alla ristrettezza del tempo disponibile per la ricerca dei materiali con gli stessi confrontabili, ritengo che la "tessitrice" e il "serpente" siano in fondo soddisfatti dell'attenzione loro rivolta, che li ha riscattati da un'esistenza trascorsa nell'ombra, nella clandestinità e affidata all'aleatorio veicolo della tradizione orale. Possono anche concedersi, dall'alto di Monte Acuto, un sorriso di condiscendenza verso di noi, poveri mortali.

Questi personaggi mitici, al contrario di quelli delle fiabe, sono rimasti ancorati ai luoghi che furono teatro delle loro manifestazioni. Ciò consente e giustifica un ulteriore sforzo interpretativo: quello di individuare la grotta ove risiedeva la "tessitrice", alla quale si accedeva mediante gradini scavati nella roccia. La risposta non è difficile: chiunque abbia compiuto un pellegrinaggio alla grotta di Santa Sperandia la conosce: prima che una desolante colata di cemento li ricoprisse, una lunga serie di gradini tagliati sull'abisso, nella viva roccia, conduceva alla grotta, la quale, a sua volta, prima che la disastrosa solerzia di un eremita imitata di recente da incauti fautori del moderno ad ogni costo ne modificasse l'aspetto, comunicava con l'esterno tramite un pertugio; era cioè una grotta vera e propria, non l'inoffensivo attuale riparo sotto roccia (28).

L' "acqua morta", inoltre, potrebbe essere identificata con quella del Fosso della Botte, essendo sinonimo di morte rituale l'essere calati in acqua entro questo recipiente. E il percorso che doveva compiere l'iniziando, infine, sembra individuabile, a partire da quel fosso, attraverso i boschi di Monte Acuto, in ripida ascesa, presumibilmente superati con l'aiuto dell'animale soccorritore, il lupo, fino alla grotta dagli scalini di roccia, all'interno della quale si era obbligati a trascorrere un periodo di segregazione e dalla quale, attraverso tappe per ora non ipotizzabili, l'iniziando perveniva, dopo aver affrontato e superato il temibile custode, sul Monte di S. Angelo, all'acqua che gli avrebbe restituito la "vita" (29).  È superfluo precisare che tali deduzioni non pretendono che si accordi loro altro valore che quello spettante a una lusinghiera ipotesi di lavoro. E, perché questa non rimanga sospesa nel limbo dell'indimostrabilità, occorreranno l'apporto di nuovi dati da esaminare e una più accurata disamina di tutti i materiali utilizzati per la presente ricerca, l'interesse della quale ritengo consista nell'aver tentato di penetrare i significati più riposti di alcune tradizioni orali cingolane e conseguentemente nell'aver additato la possibilità di collegare i reperti della cultura materiale, raccolti in abbondanza nella valle e riferibili a forme economiche ed aspetti culturali diversi, all'insieme delle credenze religiose delle popolazioni che li produssero. Collegamento la cui attuazione richiederà tempo e ricerche interdisciplinari, sempre che la ricerca archeologica non venga preclusa dalla progressiva opera di devastazione che ferve nella valle (30).

 

Reperti neo-eneolitici rinvenuti nella Valle delle Laque - Rio

S'impone a questo punto un epilogo, tanto amaro quanto necessario. La Valle delle Laque e i monti che la circondano, sui cui balzi vivono asfodeli gialli in compagnia di arbusti di leccio, di caprifico e di erica, abbarbicati a rupi che racchiudono i resti fossilizzati di esseri vissuti milioni di anni fa, sono lacerati in più punti, troppi, da cave di pietrisco che sconvolgono la loro maestosa severità naturale.

Questa valle, disseminata di testimonianze di insediamenti preistorici, custode di memorie medioevali di interesse religioso, etnografico ed artistico, rischia di subire, per la dimensione assunta da tali devastazioni, la distruzione delle peculiarità che la elevano per importanza storica al di sopra del restante territorio cingolano. Essa va trasformandosi da possibile antico regno dei morti in un moderno assordante cimitero nel quale stiamo seppellendo la porzione di Natura che ci è stata affidata e la nostra storia più antica, gettandole sconsideratamente in un frantoio.

Avrei voluto concludere rivolgendo l'invito a visitarla in una notte di luna. I riflessi dell'astro sui bianchi massi affioranti avrebbero consentito di scorgere da lontano il lento incedere della Tessitrice assisa sul suo carro; lo stormire del vento avrebbe accompagnato il brontolìo del fiume infernale; un fruscio improvviso l'apparire del custode squamoso prima di giungere, col cuore in gola, a dissetarci con l'acqua della vita. Avremmo quindi atteso che il sole dissolvesse a poco a poco, come gocce di rugiada, le illusioni più tenaci. Ma questa evasione dal quotidiano nella preistoria e nell'aldilà" è già improponibile e tra non molto sarà impossibile: sono scomparsi i solchi del carro processionale, sono spezzati da voragini gli antichi sentieri, il fiume infero è in pietosa agonia, ovunque si volge lo sguardo soltanto ferite. Eppure è di evasioni come questa che oggi c'è bisogno: sono le meno pericolose, spesso le più appaganti, senz'altro le più ricche di insegnamenti. E domani ne avremo necessità. Ed io temo che anche quel poco che resta di integro nella valle diventi materia per una brutta storia del nostro tempo, che anche quel poco scompaia, triturato, ignominiosamente, nel regno del "c'era una volta". Sarebbe la peggior favola da raccontare ai nipoti.

L'invito che rivolgo è a visitarla, finché si è in tempo, per meditare su quanto abbiamo perduto, per assistere alla quotidiana polverizzazione di un segmento della nostra memoria ancestrale, di un ambiente il cui valore paesaggistico, vegetazionale, storico e turistico è incommensurabile rispetto a quello del comune pietrisco che vi si estrae (31).  A me piace ricordarla come la vidi la prima volta, da ragazzo, quando intuii che era un luogo diverso dagli altri, che nei suoi antri nascondeva strane presenze, timorose di mostrarsi alla luce; e come la vide, prima di me, e la dipinse, Donatello Stefanucci, fissandone il tormentato profilo in una delle sue più struggenti vedute (32).  La sua fisionomia arcaica possiede la capacità di innescare in noi il meccanismo della retrocessione nel tempo fino alle epoche più remote della nostra storia, che, attraverso le vestigia in essa conservate o recuperate, rivediamo come nelle pagine di un libro scritto e illustrato per noi dalla Natura, libro di cui esiste un solo esemplare, del quale non dobbiamo consentire che si faccia scempio.

 


Tratto da:

P, Appignanesi, Il serpente e la tessitrice, in P. Appignanesi - D. Bacelli, La liberazione di Cingoli e altre pagine di storia cingolana, Cingoli 1986, pp. 389-421

 

(1) Incompleta e con alcune variazioni la leggenda è stata pubblicata in Guida all'Italia leggendaria, misteriosa insolita fantastica, Milano, 1967, vol. II, pp. 158 -159.

Le variazioni sono: i cercatori sono due, uno dei quali è addetto unicamente a scavare il tesoro; il cercatore che attende l'apparizione del serpente ha denudato soltanto il braccio destro; i cercatori che rompono il silenzio sono "scaraventati così lontano" che di loro non si sa più nulla; manca la menzione della tessitrice.

Un accenno al latente contenuto ritualistico del primo racconto e all'importanza delle acque salutari che scaturiscono nella valle si trova in P. Appignanesi, Archeologia e tradizioni, in "Jesi e la sua valle", anno XII, 7 luglio 1973, p. 39.

(2) Devo il racconto ai sigg. Piergiorgio Battistelli e Corrado Battaglia, continuatori delle antiche tradizioni venatorie cingolane.

(3) Questa ed altre memorie sperandiane riguardanti la Valle delle Laque mi sono state narrate dalla signora Adele Crescimbeni Bacelli che le ha apprese dal padre Manlio, originario della frazione di Castel S. Angelo.

(4) Sui possibili rapporti fra i motivi fiabeschi o i racconti popolari e alcune forme della religione e della cultura dei primitivi si veda P. Toschi, II Folklore, Roma, 1969, pp. 120 -134, alla cui bibliografia si rimanda.

(5) Le frequenti citazioni utilizzate in funzione di commento sono tratte da M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino, 1970, V. J. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, Torino, 1972 e E. Neumann, La Grande Madre, Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio. Roma, 1981, opere alle quali si rimanda per l'approfondimento dei paralleli proposti fra le tradizioni orali esaminate e alcuni aspetti del mito e della fiaba.

(6) M. Eliade, cit. pp. 175-176.

(7) II corso d'acqua che attraversa la valle assume varie denominazioni: nel tratto iniziale quella di Fosso le Laque, successivamente quella di Torrente Rudielle (IGM F. 117II S.O.) benché la sua denominazione popolare sia quella di Rio Laque, il rio delle acque, con allusione forse alle acque per eccellenza o ad acque comunque particolari che un tempo presumibilmente formavano acquitrini essendo attestato fin dal 1644 il toponimo "Pian delle Laque dell'Avenale" (Cfr. Avicenna, Memorie ... cit., In strumento contenente gl'atti fatti dal P. Bacilliero ecc., p. 13). La presenza alle due estremità della valle di toponimi includenti la specificazione le Laque e delle Laque giustifica il nome ad essa assegnato, nel presente contributo, di Valle delle Laque. Il carattere infero del Fosso delle Laque e particolarmente della sorgente omonima, localmente detta "la Sbocca" (da bocca con s - estrattivo), è posto in evidenza dalla seguente tradizione orale riferitami da Mario Crescimbeni, di Cingoli, che la ascoltò da sua madre, Giulia Sopranzetti, e dalla sig. Nerina Giorgi, entrambe originarie della frazione di Castel S. Angelo: 

La sorgente della "Sbocca", circondata da tife e da canne palustri, ha circa 12 metri di circonferenza e una profondità sconosciuta (i sassi che vi si gettano scompaiono presto alla vista e non producono alcun rumore). Vi si scorgono nel mezzo, per la trasparenza dell'acqua, due bianchi massi sommersi che devono essere guardati da lontano altrimenti risucchiano l'osservatore. Se si passa accanto ad essa nelle chiare notti di luna piena si sentono strani rumori giungere dalla profonda cavità sotterranea; a produrli sono i vani tentativi di riemergere compiuti da un contadino che una volta, percorrendo al buio la valle e avvicinatosi troppo alla sorgente, fu inghiottito con il suo biroccio carico di fascine e munito di sterza (avantreno). I due massi, infatti, altro non sono che le vacche aggiogate al suo carro che si sforzano disperatamente di uscire dall'abisso senza mai riuscirci. Anche sul Monte di S. Angelo si apre una grotta della quale non si conosce la profondità. Una volta due frati provarono ad esplorarla. Di loro non si seppe più nulla (notizia fornitami da A. Cavalletti di Cingoli).

(8) V. J. Propp, cit. pp. 404-407.

(9) M. Eliade, cit. p. 269.

(10) V. J. Propp, cit. pp.420-426.

(11) Sull'apparizione dell'Arcangelo nella grotta cfr. P. Appignanesi, Testimonianze medioevali in Cingoli, in Cingoli dalle origini al sec. XVI... cit., pp. 132 -133.

(12) Cfr. sull'antichità del culto nella grotta G. Avarucci. A. Salvi, Le iscrizioni medioevali... cit., n. 39, p. 86.

(13) V. Dini, II potere delle antiche Madri, Fecondità e culti delle acque nella cultura subalterna toscana, Torino, 1980, p. 133. 

(14) Non sorprenda tale continuità: 

II culto delle acque - specialmente quello delle fonti ritenute curative, dei pozzi termali, delle saline ecc - dimostra un'impressionante continuità. Nessuna rivoluzione religiosa ha potuto abolirlo; alimentato dalla devozione popolare, il culto delle acque finì per essere tollerato perfino dal cristianesimo, dopo le inutili persecuzioni medioevali. (La reazione cominciò fin dal IV secolo, con san Cirillo di Gerusalemme. Le interdizioni ecclesiastiche si ripeterono senza interruzione, dal secondo Concilio di Arles - 443 o 452 - al Concilio di Treviri nel 1227. Inoltre, un numero notevole di apologie, pastorali e altri testi segnano le tappe della lotta della Chiesa contro il culto delle acque). La continuità cultuale si estende talvolta dall'epoca neolitica ai giorni nostri. Cosi, presso la fonte termale di Grisy (comune di Saint-Symphorien-de-Marmagne), si sono trovati oggetti votivi neolitici e romani. Simili tracce del culto neolitico (selci spezzate volutamente, in segno di ex-voto) furono trovate nella fonte detta di Saint-Sauver (foresta di Campiègne). Sorto nella preistoria il culto si trasmise ai Galli, poi ai Gallo-Romani, dai quali lo ricevette e lo assimilò il cristianesimo A Saint Moritz si conservarono, fino a questi ultimi anni, antichi luoghi di culto dell’ età del bronzo. Nel comune di Bertinoro, in provincia di Forlì, presso un pozzo moderno di acqua cloro-salina si trovarono tracce cultuali dell'età del bronzo. In Inghilterra, accanto a tumuli preistorici e monumenti megalitici, troviamo sorgenti ritenute benefiche o miracolose dalle popolazioni. Finalmente merita di essere ricordato il rituale che si praticava al lago di Saint-Andréol (nei Monti Aubrac) descritto da san Gregorio di Tours (544 - 595). La gente vi andava in calesse e celebrava la festa per tre giorni sulle sponde del lago, portandogli offerte di biancheria, vestiti, lana filata, formaggio, torte, ecc. Il quarto giorno scoppiava una violenta tempesta seguita da pioggia (evidentemente si trattava di un rito barbaro per impetrare la pioggia). Il prete Parthenius, dopo aver inutilmente tentato di persuadere i contadini ad abbandonare quelle cerimonie pagane, costruì una chiesa ove la gente finì per deporre le offerte destinate al lago. Tuttavia l’usanza di gettare nelle acque del lago oggetti logori e torte si conservò fino al secolo XIX; i pellegrini gettavano nel lago, senza capire il senso del loro gesto, camicie e calzoni (E., pp. 207-208).

(15) V. J. Propp, cit. p. 452.

(16) V. J. Propp, cit. p. 473.

(17) Riguardo al collegamento dell'oro col regno dei morti, nell'antichità, valga un'altra tradizione narratami da A. Cavalletti, cingolano, che la ascoltò dal nonno paterno, secondo la quale in una valle contigua alla nostra, chiusa da una cerchia di alte colline e da Monte Acuto, denominata Valle Sorda, giocavano con bocce d'oro tre "saracì"(saraceni): "Guido il Bello, Barbarossa e Scannamorti". È facile riconoscere la natura infernale dei tre (nel numero un'allusione al tricefalo guardiano degli inferi?): il primo, come il Lucibello delle fiabe, sta per Lucifero; per il secondo è sufficiente il rimando al Barbariccia dantesco; Scannamorti è infine, per così dire, un appellativo parlante. L'aggettivo saraceno, come è noto, qualificò indistintamente nel Medio Evo sia ciò che era pre-cristiano sia ciò che era non cristiano. Un esempio di tale uso di questa voce riferita a testimonianze dell'antichità classica è fornito dal sito prossimo alla Valle delle Laque sul quale giacciono i ruderi di una villa rustica romana, denominato appunto Piana dei Saraceni (Cfr. E. Percossi, M. Silvestrini, Situazioni abitative, presenze e frequentazione dalla preistoria all'età romana nel territorio di Cingoli, in Cingoli dalle origini al sec. XVI... cit., n. 7, pp. 26-27

(18) E. Neumann, cit. pp. 227-228.

(19) Identificare la dea non è per ora possibile. Per la vicinanza del territorio cingolano a quelli di Cupra Montana e di Pollenza, nei quali esistettero santuari dedicati rispettivamente alle dee Cupra e Bona Dea (cfr. B. Tesei, Cupra Montana antica città del Piceno, Monsano, 1970 e A. Nestori Rambona e la sua abbazia. Roma, 1984), divinità entrambe assimilabili alla latina Fauna, non è fuori luogo tentare un accostamento della nostra "Signora" a tali dee, sulla base di quanto recentemente sulle stesse è stato scritto:

Anche se, come scrive il Wissowa, «l'antica concezione di questa bona dea Fauna tuttavia si è fortemente oscurata per il fatto che un culto greco [il culto di Damia] penetrato a Roma si è impossessato del nome di Bona Dea in modo da mettere, almeno nel culto pubblico, completamente in ombra le idee antiche», il poco che ne sappiamo ci permette di considerarla fra una delle varie manifestazioni della italica «Signora degli animali». Poiché Bona Dea appare innanzitutto come una pothnia draconton, «una signora dei serpenti»: un serpente era presso la sua statua, serpenti domestici (...) erano nutriti nel suo tempio, senza contare che nel mito si dice che Fanno «transfigurasse se tamen in serpentem (...) et coisse con lei... A questa stregua Bona Dea può essere in rapporto con la dea dei Marsi Angitia, cui va probabilmente attribuita una statuetta femminile lungo-vestita, con un serpente nella mano sinistra alzata, rinvenuta presso il lago Fucino... Stessa cosa di Angitia, è certamente quella dea Ancaria o Anchera, ricordata da Tertulliano, a cui rimandano le varie località Ancarano nel Piceno ... In tale qualità [quella di conoscitrice delle virtù segrete delle erbe che crescono nei boschi] Bona Dea si rivelava la sorella di tutta una serie di divinità femminili: da Diana, nel suo duplice aspetto di signora del mondo animale e vegetale, alla stessa Angitia (che la contaminatio greca voleva addirittura sorella della maga Medea)... a Circe, infine, dispensatrice famosa di filtri vegetali, anche in funzione della sua dignità di pothnia theròn o «signora degli animali». (Cfr. Renato Del Ponte, Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica, Genova, 1986, pp. 171 -173, cui si rimanda per eventuali approfondimenti e per la bibliografia). Non c'è dubbio che la nostra "Signora" si troverebbe a suo agio in compagnia di tali divinità, o, per citare parentele più nobili, accanto ad Era - la dea dagli occhi di vacca - le cui bianche vacche furono rapite da Hermes. 

(20) Idem, pp. 219-220.

(21) Idem, p. 222

(22) Idem, p. 128.

(23) Idem, p. 276.

(24) V. J. Propp cit., pp. 387-389.

(25) II toponimo è desunto dalla tradizione orale ed è ben noto ai cacciatori cingolani che frequentano la valle. La pronuncia locale è Pettu de u lupu. Il dialetto cingolano conserva tuttora la voce pettarellu (piccolo petto) che ha il significato di breve e ripido pendio. Il toponimo può quindi corrispondere a "pendio ripido" o "erta del lupo". Il suo accostamento alla locuzione Peto di lupo (ant. petto): vescia (Lycoperdon) non mi sembra sostenibile sia perché il nome locale di tale fungo è Lòffa de cà, sia perché in quella località non ne crescono più che altrove, sia perché nel Cingolano allo stesso non veniva, fino a qualche anno fa, attribuito alcun valore alimentare sia, infine, perché il luogo designato dal toponimo è realmente un pendio assai ripido.

(26) M. Eliade cit., pp. 199-200.

(27) V. J. Propp cit., pp. 314-316.

(28) L'ingresso era in origine assai stretto: "Questa grotta ha la bocca larga un piede, o poco più, dentro è una stanza longa, di piedi dicisette, larga piedi venticinque, alta piedi tredici, vi sono tre stanziole pur cavate nel sasso, una che ha il camino, et è alta tredici piedi, cupa dentro al sasso, piedi otto, l'altra dove dormiva è cupa dentro al sasso piedi quattordici, alta otto, la terza è cupa piedi quattordici, alta otto, e si entra per andare da una stanza all'altra per un buscio largo due piedi per ogni banda." (T. Franceschini, Istoria della vita della gloriosa Santa Sperandia protettrice di Cingoli, Fermo, 1602, p. 9).

Il conte Servanzi Collio, nella seconda metà del secolo scorso, visitò e descrisse la grotta. Così gli apparvero gli scalini: "A mezzo il monte, rasente lo scoglio si presenta una piccola scala angusta e malsicura, rozzamente incavata, la quale è così erta, e tanto inclinata, che sembra discendere quasi perpendicolarmente dall'alto." (S. Servanzi-Collio, La grotta di Santa Sperandia, Camerino 1876, p. 5).

La demolizione della parete esterna della grotta risale agli anni 1839 -1840 e a commentarne le conseguenze basteranno le parole dell'autore testé citato: "Vi dimorava [nel fabbricato annesso alla chiesa di S. Michele arcangelo, sul monte omonimo] nell'anno 1839, certo fra Andrea Majolatesi terziario Camaldolese, il quale stante la vicinanza di luogo saliva spesso a visitare la grotta della nostra Santa per recitarvi orazioni, e per ispirarsi viemmeglio alle virtù di Lei. E poiché non di rado altri vi accedevano a pregare, e vi lasciavano tabelle e voti, quali segni visibili di grazie riportate, divisò di eriggervi una piccola Chiesa. Ma a ciò effettuare con minore dispendio, risolvette di demolire l'umile casolare, e con lo stesso materiale costruire la nuova fabbrica. E senza alcun indugio ottenute appena le opportune facoltà da Monsignor Filippo Saverio dei Conti Grimaldi vescovo della Città di Sanseverino, nel cui raggio diocesano è la grotta, i locali erano atterrati, e la chiesa spiccava da terra. Dopo ciò essendo venuto meno il denaro, cominciò a raccogliere limosine, quali non gli vennero negate da chicchesia, per cui immantinente ravviata quella costruzione fu in brevissimo tempo condotta a fine in modo, che nell'autunno del 1840, essa di nulla mancava. Ma se vogliasi plaudire allo zelo del buon Eremita, non può non deplorarsi la distruzione delle mura santificate dalle diurne, e notturne orazioni di Sperandia, bagnate dalle lagrime di penitenza, e forse dal vivo sangue di Lei, che tanto crudo governo faceva delle sue delicate membra. Né ai devoti sarebbe mancato un caro monumento, che avrebbe risvegliato in loro religiose rimembranze." (Idem, p. 7).

L'accenno di T. Franceschini a una "stanza" fornita di camino induce inoltre a prendere in considerazione due toponimi: Callarelle e Rudielle (F. 124 I N.O.) che designano il tratto di fondovalle sottostante alla grotta. La derivazione del primo dal lat. tardo calidarìa (olla), "recipiente riscaldante" non presenta difficoltà; del secondo può ipotizzarsi la derivazione dal lat. rudis, is, (f.), bastoncello, bacchetta" ma anche "ramaiolo, mestolo". Entrambi sono accomunati dalla desinenza diminutiva che rende gli oggetti che essi ricordano piccoli, quasi avessero subito una riduzione dovuta alla lontananza nel tempo o a quel particolare processo per cui oggetti già importanti ma caduti in disuso o in disgrazia continuano tuttavia ad essere costruiti o ricordati in dimensioni ridotte scadendo spesso al rango di trastullo o di materia di racconti per bambini. E non può sfuggire a questo punto il possibile collegamento di questi oggetti con la "stanza" del camino posta all'interno della grotta e con le caldaie tramandate dai racconti mitologici e fiabeschi e legate al mondo infero e a riti di rinascita tra le quali basti qui ricordare quella in cui venne smembrato e bollito Dioniso:

Nella storia di Ino lo sdoppiamento del motivo fa sì che si sia mantenuta anche la caldaia, che in effetti è collegata con Dioniso. Anche costui è infatti un dio che muore e che rivive…Il bambino [Zagreo], figlio di Zeus e di Demetra o Persefone ... viene smembrato da due Titani o Cureti e le sue membra vengono cotte in una caldaia di acqua bollente. Dalla storia di Demetra sappiamo che lo smembramento e la bollitura sono un processo di resurrezione. Mentre infatti la saga narra che le membra lacerate e bollite di Zagreo vengono sepolte e che da esse germoglia la vite, nelle figure vascolari nere il giovane salta sano e vivace fuori della caldaia avvolta di tralci (M. Riemschneider, Miti pagani e miti cristiani, Milano, 1973, pp. 77 ss.).

La memoria di tali riti sarebbe sopravvissuta anche alla "fine" del paganesimo: 

Uno dei più ricchi sedimenti in cui i miti pagani si sono conservati fino ad oggi è rappresentato dalla leggenda cristiana ... Se ora cerchiamo fra i santi bambini, il più vivido e simpatico è Vito. Egli viene sempre rappresentato come un bambino seduto in una caldaia di olio, dalla quale esce vivo. A questo proposito si andò formando a poco a poco tutto uno schema. Ma la coincidenza di bambino e caldaia non è causale. (Ibidem) 

Per lo stesso motivo della resurrezione attraverso una prova connessa con il fuoco si vedano i paragrafi Squartati e richiamati in vita e La stufa della maga in Propp. La circostanza infine che i due toponimi designano siti posti entrambi ai piedi del dirupo che separa la grotta dal rio sottostante sembra suggerire che gli oggetti ricordati da lassù siano rotolati o siano stati gettati allorché i riti per i quali erano stati utilizzati furono abbandonati o esecrati.

(29) II ruolo di custode delle acque svolto dal serpente è posto in evidenza da una tradizione che qui ripropongo, secondo la quale santa Sperandia, volendo dissetarsi con l'acqua della valle, ne fu impedita dal demonio che tentò di affogarla lanciandole contro un masso di parecchi quintali di peso la cui corsa fu però fermata dall’ intervento di S. Michele al quale la Santa si era subito rivolta. Il masso è tuttora al suo posto presso la grotta di S. Angelo (cfr. P. Appignanesi, Testimonianze medioevali, cit., pp. 132-133).

Riguardo alla localizzazione dell'acqua viva" e di quella "morta" sono da prendere in considerazione anche le due conserve d’acqua, ricavate entrambe nella roccia, site l'una a ridosso della Grotta di S Angelo con la quale un tempo era in comunicazione, e l'altra a poche decine di metri dalla Grotta di santa Sperandia. Della prima posta sotto la diretta custodia del drago sconfitto dall'Arcangelo, non conosciamo il nome, ma non è da escludere la possibilità che esso alludesse alle capacità salutari e salvifiche dell'acqua che tuttora vi si deposita. T. Franceschini tramanda invece il nome della seconda: «... fonte Acitona o Acitosa,  ch’ è lontana dalla grotta un tiro di Balestra, e si dice, che quando l'acqua è, e scatorisce in questa fonte fuori della grotta, non è punto, né scatorisce dentro, e quando appar dentro non è né scatorisce fuori, ch’ è segno l'acqua esser miracolosa, e nata solo per servigio di questa Santa.» (Istoria della vita…. cit., pp. 9 - 10). E’ evidente il collegamento tra la grotta e l'acqua "acitosa", ma più importa qui sottolineare che si tratta di un'acqua pungente, acre e che, se è vero che all'interno della grotta s'incontrava la morte rituale, la presenza vicino all'antro di un'acqua con caratteristiche negative potrebbe connettersi con il rito stesso; un'acqua forte, amara, come amara è la consapevolezza dell'esito ineluttabile della vicenda umana, un'acqua per i "morti".

La circostanza, infine, che due corsi d'acqua e due modeste acque stillanti siano identificabili con l'"acqua viva e con l’acqua morta" potrebbe essere attribuita all'evoluzione e alle conseguenti trasformazioni subite dai riti ai quali le stesse furono collegate e fu forse sotto l'impulso di una innovazione cultuale che si verificò lo spostamento delle acque infere dall'imbocco all'interno della valle, mantenendo però la precedente collocazione dell'acqua negativa sul versante sinistro, di quella positiva su quello destro.

(30) La valle ha restituito numerose testimonianze di frequentazioni umane durante la preistoria, conservate in gran parte nel Museo civico di Cingoli. Esse vanno dal paleolitico medio alla media età del bronzo ed interessano le stesse grotte di Santa Sperandia e di S. Angelo (cfr. E. Percossi, M. Silvestrini, Situazioni abitative ... cit., nn. 14 - 17, 19 - 22, 24 e 26). La perlustrazione della valle con intenti scientifici, soprattutto dei suoi numerosi ripari sotto roccia, è ancora da compiere.

(31) Sul Monte di S. Angelo e su Monte Acuto si aprono tuttora antiche cave di calcare. Furono attive fino al 1940 circa e i materiali che vi si estraevano furono impiegati per rivestire e ornare di mostre gli edifici pubblici e privati di Cingoli e della provincia maceratese (O. Avicenna, Memorie ... cit., p. 234).

La conservazione di tali grotte artificiali si impone in quanto testimonianze di tecniche estrattive tradizionali, materia di studio della neonata archeologia industriale nonché, più in generale, per il loro interesse turistico. Prima che l'acqua della sorgente della Sbocca fosse utilizzata per l'acquedotto di Botontano, lungo il Rio Laque, ricco di trote, vivevano alcune lontre che erano oggetto di una limitata caccia per la loro pregevole pelliccia (notizia riferitami da Cesare Paoli di Cingoli, come propria esperienza). Nel sec. XVII, quando la pastorizia era l'attività economica prevalente nella frazione di Avenale, sulla valle volteggiava ancora l'avvoltoio grifone: «Stanno quasi per così dire conficcati nelle falde di questa montagna [Monte Acuto] molti ombrosi specchi, antri e concavi sassi alti, et alpestri, che sono nidi d'Aquile et Avol toi.» (0. Avicenna, ibidem). La locuzione dialettale pare 'n cellu grifò, in uso fino a pochi anni fa nel Cingolano per descrivere una persona molto arruffata, va forse riferita a tale antica presenza.

(32) II dipinto fu esposto alla II° Biennale di Roma (1923), col titolo "Montagne Picene" e fu definito da un paesaggista della tempra di Carlandi "il più bello di quanti ne ospitasse quell'esposizione" (R. Strinati, Giovane arte picena contemporanea. Roma, s.d. (1929 ?), pag. 82.

 

 


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