Scavi
di Cingoli
Da
lettera del sig. conte S.
Servanzi-Collio
"Bullettino
dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica", 1848
Una scoperta assai curiosa avvenne sui primi di gennaro
dell'anno 1847 in contrada Brizio poco distante dalla città di Cingoli
in un terreno di proprietà del sig. Luigi Ferri. Ancor là
essendovi alcune fosse per piantarvi alberi si rinvennero alla profondità
di trè palmi una tina di creta della tenuta di un barile circa,
trè piedi di forma umana, cinque zampe da cavallo, ed alcuni
rottami il tutto fuso in bronzo. Continuato lo scavo per qualche altro
palmo di profondità non si trovò iscrizione, nè altro da poter dedurre
con qualche ragione a qual genere di monumenti appartenessero,
essendosi scoperto solamente in fondo un basamento di pietra rozza.
In
diverse epoche sono venute a luce dallo stesso terreno monete,
tine,
vasellami ed altre anticaglie di creta. Vuolsi che nel 1841 per lo
stesso oggetto di buonificare venissero fuori in quei dintorni molte
ossa umane, lampade, e lucerne di creta.
Neppure di quel Castello
sappiamo particolarità da cavarne illazioni, conoscendosi solo dalle
memorie di Cingoli scritte dall'Avicenna, che fu grande, civile ed
opulento, e che nel 1229 fu spianato sino ai fondamenti dal Comune di
Cingoli, e che vi abitarono un tempo i monaci di Avellana , la cui
chiesa sotto il titolo di s. Vitale esiste ancora, ed è proprietà del
capitolo della cattedrale di Cingoli.
Confidiamo che sorga qualche
cittadino istruito dei fatti della sua patria ad illustrare il luogo dove
avvenne questa scoperta, e gli oggetti di bronzo ivi rinvenuti, volendo io limitarmi alla sola
descrizione, ed astenendomi da qualunque commento. Così le accurate investigazioni che si potranno fare
forniranno notizie per la conoscenza dei particolari, e faranno
argomentare con meno dubbj ed incertezza.
Due dei
trè piedi da uomo staccati appunto dalla estremità della tibia sono di forma poco più del
naturale, differenti per poco fra di loro con calzatura romana
sostenuta e guarnita da varie coreggie fermate nel collo del piede mediante
legatura; sembrano detti piedi coperti da maglia o da leggerissimo
tessuto, giacché ben si distinguono tutte le dita: erto è assai il suolo
del sandalo o calzare, giacche è quasi di un' oncia. L'altro piede è
di forma colossale essendo la sua lunghezza non minore di un palmo
e mezzo di passetto, e la larghezza nella pianta è misurata di
once cinque.
La calzatura è romana anch'essa a
somiglianza dell'altra sopra descritta, potendosi ancora in questo contare tutte le dita. I
trè piedi suddetti tutti fra di loro differenti in grandezza, non posano
in piano, ma piegano per poco in dentro nelle piante, come se fossero di persone che trovansi sopra il dorso di cavallo. Alcune delle
cinque gambe o zampe si estendono per diciotto once sopra i zoccoli
e qualcuno arriva quasi al ginocchio: grosse sono le forme delle gambe,
e dei zoccoli, come di gran cavallo: intorno alla corona si vede il pelo
graffito, e nelle gambe si distinguono a meraviglia le ossa, i muscoli, e per sino le vene, tutto messo al suo posto: belle
ne sono le proporzioni: quattro di esse posavano in terra, ed una doveva stare
alzata, cosi rilevandosi dai loro atteggiamenti.
Questi rottami in
bronzo ponno dirsi ben conservati, se si eccettui il piede umano più
grande, che per l'ossido ha perduto nel di sopra la guarnizione della
calzatura. In diversi punti si distinguono ancora i tasselli dello stesso
metallo soprapposti dall'artefice per coprire i difetti avvenuti nell'atto
della fusione, e qua e là sono ancora aperti i fori che si fecero per
dare aria alle stampe, allorché si versava il metallo. Per questi
rottami di bronzo sappiamo di certo che il monumento era composto di
trè persone, perchè differenti fra di loro sono i trè piedi, e di due
cavalli, sicché doveva essere ragguardevole. Può essere che tirasse
qualche carro trionfale.
Sotto
lo scoperto basamento di pietra rozza si trovò una piccola medaglia di metallo appartenente a
Costantino il Grande, la quale ricorda i vicennali di quell' imperatore.
Nondimeno il sig.
marchese Filippo Raffaelli di Cingoli, diligente investigatore di ogni patria antichità, ritiene che l'epoca della fusione
rimonti al secolo dopo Adriano e verso Diocleziano, e che i piedi umani siano stati fusi da un artista ben diverso dal fonditore delle
gambe di cavallo (1).
(1)
Il sig. conte Servanzi-Collio ha favorito di mandare al nostro
Instituto i gessi di due piedi umani e di due zampe di cavallo.
Gliene rendiamo qui pubblicamente i dovuti ringraziamenti.
La
scoperta di questo gruppo equestre viene citata in un carteggio di
Filippo Raffaelli (Biblioteca Comunale di Cingoli, Fondo Raffaelli):...poco
sotterra varie zampe di grossi cavalli di bronzo non che estremità umane una
delle quali di forma oltre all'ordinario...unitamente...una base
di queste statue equestri...e alle...teste del cavaliere... (il
carteggio del Raffaelli venne poi probabilmente indirizzato al
conte Servanzi-Collio visto che sarà lui a pubblicare la
scoperta).
"L'ipotesi
della quadriga, stante la descrizione, non sembra peregrina,
sebbene la menzione del Raffaelli di una base di queste statue
equestri legittimi piuttosto la presenza di una serie di
statue equestri autonome: potrebbe trattarsi, cioè, di una
pluralità di monumenti così come sembra emergere per l'area di
Porta Fanestra a Pesaro"
(1).
Dei
calchi di gesso inviati da Servanzi-Collio all'Istituto di
Corrispondenza Archeologica non vi è oggi più notizia, come
appurato anche dalla prof.ssa Maura Medri. Scrive infatti la Medri:
"debbo al cortese riscontro del dr. Thomas Frölich,
direttore della Biblioteca del DAI-Rome, la conferma che i calchi
di gesso sono andati perduti durante gli spostamenti ed i
sequestri subiti dall'Istituto nella prima metà del novecento"
(2).
(1) - (2) M. Medri, (a cura di), Sentinum
295 a.C. Sassoferrato 2006. 2300 anni dopo la battaglia,
L’erma di Bretschneider 2008, p. 122
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