Già
a partire dalla fine del V sec. a.C. è possibile cogliere i primi
segni di trasformazione culturale e di crisi della civiltà picena che si accentueranno nel
corso del IV sec. a.C. in seguito ad una serie di eventi storici
di notevole portata. Fin dagli ultimi decenni del V sec. a.C.
avvengono dei cambiamenti nelle
comunità picene in cui il potere e la ricchezza non sono più
prerogativa dell'aristocrazia guerriera; un nuovo ceto, che
controlla i traffici e gli scambi commerciali, assume sempre
maggiore peso all'interno della società picena adeguandosi alla
nuova realtà socio-economica e modificando anche i propri costumi.
Alle conseguenze
dovute a questi processi evolutivi interni si aggiungono quelle di
maggiore peso e di natura esterna causate dall'arrivo di comunità
allogene di differente cultura, i Siracusani ad Ancona e i Galli Senoni nelle Marche centro-settentrionali. Le invasioni celtiche, la presenza
siracusana e la conquista romana porteranno nel
volgere di meno di due secoli alla totale scomparsa della cultura
picena.
L'ultima fase della civiltà picena, dai primi
decenni del IV sec. a.C. fino alla metà circa del III sec. a.C.,
e che nella suddivisione proposta da Delia Lollini corrisponde al
Piceno VI, "costituisce un lungo periodo che presenta molti
aspetti problematici, che riguardano l'attribuzione etnica, la
definizione culturale e il preciso inquadramento cronologico dei
fenomeni attestati dalle evidenze archeologiche" (1).
Agli
inizi del IV sec. a.C. gruppi di Senoni occuparono la parte
settentrionale delle Marche, un'area scarsamente popolata fin dal
V sec. a.C. ma di notevole interesse strategico. L'area in
questione infatti permetteva di combinare i contatti marittimi
con le regioni interne dell'Appennino, lungo la vallata del
Tevere; inoltre, direttrici interne e costiere la mettevano in
contatto con la Puglia e la Campania. Queste possibilità furono
sfruttate anche per compiere numerose azioni militari; le fonti
ricordano che nel 386 a.C. un nucleo di Senoni riuscì a
saccheggiare e occupare per vari mesi la stessa Roma.
La conseguenza più significativa fu
certamente il "dissolvimento dell'originaria cultura lateniana in
una koiné celto-greco-etrusco-italica, dove l'elemento
lateniano rimase limitato pressoché al solo armamento - la lunga
spada e il sistema di sospensione, in quest'epoca ancora in cuoio
e munito di anelli metallici" (2).
I torques
d'oro a tamponi di Santa Paolina di Filottrano, la fibula di Moscano
di Fabriano e i foderi a lamina esterna di bronzo sbalzato dalle
due località permettono di capire il rapporto di discendenza e i
contatti di questi gruppi dopo il loro arrivo nel territorio
piceno. Oltre all'omonimia di un popolo della Gallia che risiedeva
nella metà del I sec. a.C. a sud di Parigi (il nome è rimasto
nella città di Sens) sono gli stessi oggetti che indicano un
chiaro collegamento con l'area dello Champagne e zone limitrofe
(3). E' stato addirittura scoperto che il fodero di Moscano fu
decorato con lo stesso punzone utilizzato per il fodero di
Epiais-Rhus, una località a nord-ovest di Parigi (4). E'
interessante pertanto collegare questi indizi con l'improvviso
calo demografico che si osserva nei territori dello Champagne (ad
eccezione di una piccola area nei dintorni dell'attuale Reims)
verso la fine del V sec. a.C. quando numerose necropoli non
vennero più utilizzate.
Secondo Tito
Livio, la tribù dei Senoni, gli "ultimi arrivati" (recentissimi
advenarum, Ab urbe condita, 5, 35), occuparono il territorio compreso fra il
fiume Utens (Uso o Montone) a nord e il fiume Aesis (Esino)
a sud. Dall'esame delle
caratteristiche del territorio si è osservato che "per i Senoni
dovette risultare più agevole l'occupazione della fascia costiera
e dell'entroterra; le comunità indigene (umbre e, a sud
dell'Esino, picene) presumibilmente si arroccarono nelle aree
appenniniche" (5). La scoperta di testimonianze celtiche a sud
dell'Esino, fin nelle Marche meridionali e oltre (sepolture
celtiche sono state individuate anche a Campovalano, in Abruzzo),
dimostra che il confine meridionale indicato da Livio non dovette
essere così vincolante. "Maurizio Landolfi ha espresso un'altra
possibilità, proponendo di riferire il confine indicato da Livio
alle fasi più recenti dello stanziamento dei Senoni in Italia:
questi in un primo momento avrebbero occupato un territorio più
vasto di quello in cui si sarebbero poi ritirati" (6).
La
colonia siracusana di Ancona, che probabilmente costituì il
potenziamento di un centro greco già esistente, rappresentò uno
dei principali mercati di mercenari gallici della penisola. Una
conferma degli stretti rapporti che i Senoni ebbero con i
Siracusani di Ancona e con l'area del Conero (Numana e Camerano)
è rappresentata dai ritrovamenti in questi centri di spade e
foderi lateniani in ferro e di altri oggetti che rimandano
chiaramente all'ambiente celtico. Nella necropoli di Camerano sono
state rinvenute otto tombe di guerrieri nel cui corredo,
tipicamente piceno, compaiono spade (fra cui, dalla tomba n. 34,
la spada "tipo Hatvan-Boldog" che trova confronti con
esemplari di Ancona e Numana) e foderi di tipo celtico quasi tutte
ritualmente piegati (7).
I
corredi funerari delle necropoli riflettono chiaramente la
molteplicità degli influssi cui furono sottoposti i Senoni. La
presenza di alcuni tipi di gioielli, torques, vasellame di
bronzo e d'argento, ceramiche dipinte o a vernice nera evidenziano
rapporti con l'ambiente italiota; compaiono anche prodotti o
influssi dagli ambienti greco-etruschi dell'Adriatico (ceramiche,
anfore vinarie), umbro (armamento e giavellotti tipo pilum,
tipo di sepoltura multipla che contiene guerrieri equipaggiati in
modo identico), umbro-piceno (deposizione funeraria del calderone)
e naturalmente etrusco.
L'influenza etrusca fu notevole; non si
manifestò solamente dall'utilizzo di oggetti importati ma anche
dall'adozione di modelli comportamentali, come il gioco di dadi
associato a pedine di pasta vitrea colorata (8). Tra gli utensili
metallici, accanto ad oggetti destinati al banchetto, al taglio e
alla cottura delle carni (coltelli, fasci di spiedi, alari in
ferro), al simposio (tripode, stamnos, colino, bacile,
brocche, kyathoi) e alla cura del corpo, sono presenti
alcuni bronzi relative alla pratica delle abluzioni (9).
Il
rito funerario dei Senoni è l'inumazione in posizione supina, con
la faccia orientata verso ovest, in una fossa di forma quadrangolare di dimensioni superiori a quelle del corpo, così da
riservare uno spazio per il corredo e le offerte. Alcune sepolture
si distinguono anche per la dimensione ancora maggiore della fossa
che diventa una vera e propria camera funeraria, spesso protetta
da uno strato di pietre probabilmente sostenute da un tavolato. La
salma sembra fosse deposta all'interno di un cassone ligneo di cui
restano soltanto i chiodi di ferro.
Le necropoli senoniche si
caratterizzano per la massiccia presenza delle tombe di
armati (in quella di
Montefortino di Arcevia rappresentano circa la metà del totale) e
per l'alta frequenza degli elmi (a Montefortino di Arcevia e in
altre tombe della regione sono deposti in quasi due terzi delle
sepolture dei guerrieri). La presenza di armi difensive e
offensive riflette in maniera inequivocabile
una società nelle quali le armi svolgevano un ruolo di primo
piano; "il mercenariato e la possibilità di razzie dirette
contro le ricche città del centro sud della penisola dovevano
contribuire in modo decisivo alle risorse di questa comunità
composta in buona parte di avventurieri che non solo partecipavano
in prima persona ma controllavano probabilmente il mercato della
guerra che era alimentato da un flusso di transalpini in cerca di
ricchezza e gloria" (10).
Corona d'oro, tomba 8, Montefortino d'Arcevia, IV-III sec. a.C. (immagine da:
journals.openedition.org/mefra/10043) |
Orecchino d'oro, tomba 32, Montefortino d'Arcevia, IV-III sec. a.C.
(immagine da: journals.openedition.org/mefra/10043) |
Dal
confronto tra le ricche sepolture senoniche e quelle coeve picene
della seconda metà del IV sec. a.C. si evince come queste ultime
siano oramai l'espressione di una cultura prossima alla fine. Le
associazioni funerarie nelle deposizioni picene presentano infatti
caratteri diversi e meno appariscenti. Accanto ad armi di ferro ed
oggetti ornamentali tipici dei Senoni compaiono rare ceramiche
attiche a figure rosse, ceramiche alto-adriatiche, vasi di tipo
Gnathia, ceramica a vernice nera, bacili e calderoni di bronzo
(11).
Le tombe picene sono comunque caratterizzate dalla
deposizione di una limitata quantità di oggetti importati,
nonché di vasellame fittile e fibule che mostrano fogge simili a
quelle della fase precedente. Alcuni corredi funerari piceni
annoverano elementi di pura tradizione celtica (come le armi
piegate) che possono documentare sia le sepolture dei Celti
integrati in comunità picene quanto la diffusione di mode
celtiche tra le popolazioni italiche. La documentazione di oggetti e costumi celtici in
necropoli picene e, viceversa, di oggetti e costumi piceni in
necropoli celtiche indica la profondità dei contatti e la
reciprocità degli scambi (12).
La sovrapposizione dei gruppi
celtici alle comunità picene determinò, probabilmente, anche
fenomeni di integrazione su larga scala. Le testimonianze galliche
dell'insediamento e della necropoli di Monte Bibele e della
necropoli pretuzia di Campovalano hanno indotto alcuni studiosi ad
ipotizzare l'esistenza di insediamenti misti, nei quali i Celti
vivevano in maniera pacifica con le comunità locali. E' lecito
quindi supporre che anche nel territorio piceno fossero presenti
insediamenti misti, formati da Celti e Piceni (13)
Tra
il IV e il III sec. a.C. nello stesso circuito commerciale che
assicura la diffusione dei vasi attici nei centri interni del
Piceno si inseriscono anche le prime produzioni di "ceramiche
alto-adriatiche". Questa caratteristica produzione locale, ad
imitazione della ceramica greca a figure rosse, oltre che nei
centri piceni della zona costiera (area del Conero, Pesaro) è
attestata anche nelle aree interne della regione, a Santa Paolina
di Filottrano, a San Filippo di Osimo, a Montefortino d'Arcevia, a
Cessapalombo e a San Vittore di Cingoli. Le botteghe alto-adriatiche
si specializzarono nella produzione di crateri a campana, skyphoi,
oinochoai e piattelli su alto piede (14).
Per forma e
decorazione le ceramiche alto-adriatiche possono essere suddivise
in tre gruppi differenti. Il gruppo I è caratterizzato da
una tecnica simile a quella dei vasi a figure rosse, con le
raffigurazioni risparmiate sullo sfondo del vaso (al gruppo I A si
ascrivono i vasi con figure intere, al gruppo I B quelli con busti
o teste femminili); nel gruppo II, il più caratteristico e
maggiormente rappresentato, viene adottata la tecnica che prevede
la pittura delle teste femminili sullo sfondo risparmiato; il
gruppo III comprende vasi con decorazioni vegetali e geometriche
(15).
Tra
la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. vengono meno i commerci
attici diretti verso le zone interne del Piceno. Le ceramiche di
tipo Gnathia e i crateri a corpo baccellato presenti a
Numana non vengono distribuiti nelle aree interne e la loro
diffusione è limitata alla zona costiera e paracostiera. Al
crollo del flusso commerciale marittimo, che muovendo dalla Grecia
e dall'Italia meridionale raggiungeva i centri interni, si
contrappone il potenziamento del flusso interno, dall'Etruria e
dal Lazio. Alla fine del IV sec. a.C. sono attestati a Pieve
Torina, Tolentino e Carpignano di S. Severino Marche vasi falischi
a figure rosse, un poculum del Gruppo Roselle 1889 a
Carpignano di S. Severino Marche, ceramiche etrusche a vernice
nera sovraddipinte di bianco e ceramiche volterrane a vernice nera
(16).
Come già nel VII sec. a.C., anche in questa epoca sono
attestate relazioni commerciali con il centro di Praeneste,
sede nel IV-III sec. a.C. di officine specializzate nella
lavorazione del bronzo, le cui importazioni sono concentrate
nell'Ascolano. Le relazioni con l'Etruria vengono documentate in
particolare dalla presenza dei calderoni bronzei, con anse mobili
e formati da due calotte emisferiche unite da ribattini, rinvenuti
sia in contesti piceni (Castelbelino, Numana) che celtici (Montefortino
di Arcevia, Filottrano, Fabriano, San Ginesio) e dallo stamnos,
il vaso di bronzo legato al consumo del vino caratteristico del
mondo etrusco (17).
La
conquista romana del Piceno
Il
primo intervento romano nella
storia del Piceno risale al 299 a.C. quando venne stipulato un
trattato di alleanza con i Piceni contro i Galli che si erano
spinti nel territorio romano a nord del Tevere. Negli anni seguenti il foedus si rivelerà utile per
i Romani che furono avvertiti in tempo dai Piceni della guerra che
i Sanniti, coalizzati con Sabini, Etruschi, Umbri e Galli Senoni,
nel 299 a.C., stavano preparando contro Roma,
guerra alla quale erano stati probabilmente invitati a partecipare
gli stessi Piceni.
Nelle vicende di quegli anni, nei quali Roma è
opposta in varie occasioni a Etruschi, Galli e Sanniti, il momento
decisivo per le sorti dell'intera area medioadriatica è segnato
dalla battaglia di Sentinum (l'odierna Sassoferrato) del
295 a.C. L'offensiva degli alleati era guidata dal generale
sannita Gellio Egnazio mentre i consoli Quinto Fabio Rulliano e
Publio Decio Mure comandavano l'esercito romano, a capo
rispettivamente delle legioni I e III, V e VI. Diodoro ritiene che in totale vi furono 100.000
morti, mentre Livio riporta le seguenti cifre: 25.000 caduti fra
gli italici, 7000 nell'esercito di Decio Mure e 1700 in quello di
Rulliano; lo stesso console Decio Mure trovò la morte durante la
battaglia.
Intorno
al 290 a.C. si concluse la conquista romana della
Sabina interna e del territorio dei Pretuzi mentre i Galli furono
definitivamente sconfitti nel 283 a.C. nella battaglia presso il
lago Vadimone, fra Orte e Bomarzo. I romani fondarono, nel
territorio pretuzio, le colonie di Hatria e Castrum Novum,
mentre nel territorio gallico la colonia di Sena Gallica.
Il rapporto di alleanza fra i Piceni e Roma si capovolse
nel giro di pochi anni. In seguito alle vittorie dei Romani sui
Galli e sui Pretuzi e alla confisca dei loro rispettivi territori,
i Piceni sentirono molto limitata la loro
autonomia. L'occasione per ribellarsi e combattere contro Roma fu
la decisione di dedurre la colonia di diritto latino ad Ariminum.
La sommossa picena fu sedata in due campagne militari, nel 269 a.C. e
nel 268 a.C, e si conclusero con il trionfo celebrato dai
consoli P. Sempronio Sofo e Appio Claudio Rosso.
Mentre Ascoli fu a testa dei
rivoltosi non vi è menzione alcuna di Ancona; è probabile che la
città non abbia preso parte alla rivolta e anzi avesse in
precedenza stipulato un patto con Roma. Il trattamento riservato
ai Piceni fu duplice, una parte (micròn apòspasma, Strabone, Geografia, V, 4, 13) della popolazione
fu
deportata nel golfo di Salerno, il resto venne incorporata nello
stato romano.
"Sul mare Tirreno, dopo la Campania e il Sannio (compresi i Frentani), viene il
territorio dei Picenti, un piccolo distaccamento dei Picentini dell'Adriatico,
trasferiti dai Romani sul golfo di Poseidonia... Il territorio dei Picenti si estende
fino al fiume Silari, che lo separa dall'Italia antica... La capitale dei Picenti
era Picentia; oggi però vivono in villaggi, essendo stati scacciati dalla città dai
Romani perché avevano parteggiato per Annibale. In quella stessa epoca,
anziché essere arruolati nell'esercito romano, vennero adibiti a corrieri e messaggeri
pubblici, come, per gli stessi motivi, i Lucani e i Brettii. I Romani, inoltre,
fortificarono, per tenerli sotto controllo, Salerno, poco all'interno della
costa" (Strabone, Geografia, V, 4,13).
Strabone sottolinea il carattere ribelle del nucleo di Piceni
deportati in Campania, che alla fine della seconda guerra punica
furono scacciati dai Romani dalla capitale Picentia e costretti a
vivere in villaggi, per aver parteggiato per Annibale durante la
lunga invasione dei Cartaginesi in Italia (218-203 a.C.); la
distruzione di Picentia, identificata con l'attuale
Pontecagnano, troverebbe conferma nei risultati preliminari delle indagini archeologiche
condotte dall'Università di Copenaghen (18). In quegli stessi anni, l'atteggiamento di queste genti bellicose persuase
Roma a non schierare in operazioni militari i Piceni insediati sul
golfo di Salerno, similmente ad altre popolazioni italiche ribelli
(Lucani, Brettii), ma a impiegarli in compiti ausiliari.
Il
processo di romanizzazione dei Piceni fu attuato in varie forme.
Tra i primi provvedimenti figura la concessione della civitas sine
suffragio, risalente forse già al 268 a.C., seguita nel 241 a.C. dalla
civitas optimo iure con la conseguente iscrizione nella
tribù Velina. Nel 264 a.C. venne dedotta una colonia di diritto latino a
Firmum (Fermo), anche per controllare la vicina Ascoli, alla quale, forse in
riconoscenza dei precedenti meriti, fu concesso un rapporto
privilegiato con lo stato romano e una sorta di autonomia amministrativa
con la condizione di città alleata (civitas foederata), conservata
almeno fino al 90 a.C., quando la città svolse nuovamente un ruolo
di rilievo nella guerra scoppiata tra gli alleati italici e Roma.
Revisione articolo 23 luglio 2021
(1)
M. Landolfi, Continuità e discontinuità culturale nel Piceno
del IV secolo a.C., in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, Catalogo della mostra (Francoforte - Ascoli Piceno
- Chieti, 1999-2000), De Luca, Roma 1999, p. 176
(2)
V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 174
(3)
Sia il torques di Filottrano che la fibula di
Moscano trovano precisi confronti con i tipi presenti,
rispettivamente, nell'area settentrionale dello Champagne e in
Svizzera (area intermediaria dei contatti fra Italia e mondo
transalpino) e nella stessa zona dello Champagne, V.
Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., pp. 174-175
(4)
V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 175
(5)
A.
Naso, I Piceni, cit., p. 253
(6)
A.
Naso, I Piceni, cit., p. 253
(7)
M. Landolfi, Continuità e discontinuità culturale nel
Piceno del IV secolo a.C., in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 177
(8)
V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 176
(9)
Questa pratica è documentata sia nella tomba n. 2 di Santa
Paolina di Filottrano (bacile con anse costituite da due coppie di
guerrieri in lotta e oinochoe) sia nella tomba di Moscano
di Fabriano (podanipter bronzeo di produzione magno-greco),
M. Landolfi, Continuità e discontinuità culturale nel
Piceno del IV secolo a.C., in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 178
(10)
V. Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 175
(11)
M. Landolfi, Continuità e discontinuità culturale nel
Piceno del IV secolo a.C., in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 178
(12)
A.
Naso, I Piceni, cit., p. 261
(13)
A.
Naso, I Piceni, cit., p. 262
(14)
I piattelli su alto piede, attestati in numerosi esemplari a
Numana e Montefortino di Arcevia, sembrano derivare dai piattelli
attici a figure rosse di produzione ateniese. "Il fatto che anche
le botteghe lucane inviassero in area picena alcuni piatti di
questo tipo potrebbe essere indicativo del favore che la forma
godeva presso le popolazioni locali, in relazione al suo impiego,
collegato ad usi e pratiche particolari", M. Landolfi, Le
ceramiche alto-adriatiche, in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 178. Un piattello alto-adriatico, di
produzione verosimilmente picena e decorato con la caratteristica
riproduzione del volto femminile, venne deposto, come offerta
votiva, nella grotta di Rapino (Abruzzo) in pieno territorio
marrucino,
A.
Naso, I Piceni, cit., p. 266
(15)
A.
Naso, I Piceni, cit., p. 265
(16)
M. Landolfi, Le ceramiche alto-adriatiche, in AA.VV., Piceni. Popolo
d’Europa, cit., p. 180
(17)
A.
Naso, I Piceni, cit., p. 268
(19)
A.
Naso, I Piceni, cit., p. 273

 |
 |
Sommario |
Gli abitati |
|