Chiesa
Cattedrale di Santa Maria Assunta
Indirizzo: Piazza
Vittorio Emanuele II
Coordinate
(google maps):
43°22'25.11"N 13°12'58.77"E
|
Cattedrale di S. Maria Assunta (foto
del 14/8/2011)
|
A partire dal 1481 la pieve di S.
Maria (l'attuale chiesa di S. Filippo) fu ristrutturata e dotata di un nuovo
campanile ma con il passare del tempo “per l’accresciuta popolazione, poiché
molte famiglie dei castelli cingolani si erano trasferite in città, era
addivenuta troppo piccola in modo speciale nel tempo della predicazione
quaresimale, ed era comune desiderio che se ne erigesse un’altra nella piazza
maggiore, luogo molto centrale e comodo per la popolazione"
(1). L’occasione che dette
l’avvio alla costruzione della nuova chiesa fu il quaresimale tenuto in città
nel 1564 da fra Giovanni Maria Rustichelli di Firenze che "stimò suo dovere di
far presente alle Autorità civili ed ecclesiastiche l'assoluta necessità di
edificare una nuova chiesa nella piazza maggiore, abbattendo tutte le case ivi
esistenti"
(2). Nella seduta del 19 marzo il
Consiglio di Credenza del Comune di Cingoli accettò con entusiasmo l'invito e su
proposta del consigliere D. Raffaele Simonetti fu eletta una commissione di tre
cittadini ed un rappresentante del consiglio per scegliere l'architetto cui
affidare il progetto.
Fu scelta l’area più
rappresentativa della città, la zona sud della piazza pubblica, occupata da
alcune case e da una piccola chiesa dedicata a S. Salvatore di proprietà del
consigliere comunale Raffaele Simonetti che pubblicamente dichiarò di
accontentarsi, quale compenso per la cessione, "delle perizie che si fossero
state fatte"
(3). I lavori tuttavia non
iniziarono per il sopraggiungere di altre più urgenti necessità – di cui ci dà
conto il canonico Guglielmo Malazampa
(4) – obbligando la Comunità
cingolata a differire il progetto di circa mezzo secolo.
Il
Consiglio Generale di Cingoli tornò sull’argomento il 1° maggio 1615 quando
ripropose all’ordine del giorno la costruzione di una "nuova chiesa d’onesta
grandezza e magnificenza nella piazza ove oggi è San Salvatore"
(5). Di
questa piccola chiesa, forse un oratorio della famiglia Simonetti, non
conosciamo l’origine, ma sappiamo che era stata restaurata nel 1535 con inserti
rinascimentali in facciata: un portale rettangolare in pietra, una nicchia con
il busto in marmo del Salvatore e lo stemma gentilizio dei Simonetti.
Fu immediatamente costituita una commissione di
autorevoli cittadini che aprì una pubblica sottoscrizione, quantunque il Comune
di Cingoli, che volle la chiesa, la finanziò continuamente con assunzione di
mutui, cessione di terreni incolti a privati e la vendita di una casa a Loreto
che era a disposizione dei cittadini che si recavano in pellegrinaggio al
Santuario. Il progetto della chiesa fu affidato all’architetto – o forse, più
correttamente, al capomastro – Ascanio Passeri di Pergola, presumibilmente al
suo primo incarico di una certa rilevanza. Demolite le preesistenze, ad
eccezione della facciata della chiesa di S. Salvatore che sarà inglobata in una
parete dell’abside orientale della nuova fabbrica, il 7 luglio 1619, monsignor
Rutilio Matuzio, vicario generale del vescovo di Osimo, poteva presenziare la
cerimonia della posa della prima pietra della nuova chiesa.
Problemi di ordine economico incisero
probabilmente sulla qualità strutturale dell’edificio e ne rallentarono la
costruzione, ma il peggio doveva ancora venire, ed infatti, ultimata la cupola e
la copertura del tetto, quando i lavori erano praticamente conclusi, un rovinoso
crollo costrinse i cingolani a ricominciare da capo. Il Malazampa dice che
probabilmente si trattò di un incidente annunciato "perché anche i periti
dell’arte ne avevano parlato prima che avvenisse la rovina della chiesa"
(6) e
comunque ne scaturì una causa tra il Comune e l’architetto Ascanio Passeri,
ritenuto responsabile del crollo, intentata davanti alla Sacra Congregazione di
Roma di cui non conosciamo l’esito.
Il crollo probabilmente si verificò prima del 1634
perché da questa data, e fino al 1644, Ascanio Passeri sarà impegnato nel
cantiere per la ricostruzione della chiesa di San Medardo ad Arcevia e poiché
sembra poco probabile che abbia potuto seguire contemporaneamente due fabbriche
di tale impegno, così come sembra poco plausibile che sia potuto tornare dopo il
1644, possiamo dedurne che fu esautorato dalla comunità di Cingoli. La parte
strutturale dei lavori furono conclusi, dopo trentacinque anni di lavoro, nel
1654 e il 27 ottobre il vicario del vescovo di Osimo, con una solenne messa
celebrata nell’altare maggiore aprì la chiesa al pubblico pur mancando il coro,
la decorazione degli altari e il previsto rivestimento in pietra della facciata.
Il 3 agosto 1659 la chiesa fu concessa in uso
perpetuo ai canonici di Santa Maria della Pieve che, dopo lunghe trattative con
il Comune, vi si trasferirono alla fine di maggio del 1660. Il 30 agosto 1693 il
cardinale Opizzo Pallavicini, vescovo di Osimo, la consacrò ufficiale ed infine,
il 20 agosto 1725, papa Benedetto XIII la elevò a cattedrale della reintegrata
Diocesi di Cingoli e a ricordo dell’evento fu posta sopra al portale principale
una cartella in pietra con iscrizione.
Dalla vecchia collegiata di S. Maria furono
trasportate nella nuova le pale degli altari di San Carlo, di San Albertino e
della Madonna, i vecchi sedili del coro, la reliquia di San Candido e le
suppellettili, ma il Comune di Cingoli, che restava proprietario dell’edificio,
per completare la decorazione della chiesa emanò avvisi pubblici invitando i
cittadini a ornare le cappelle in cambio del giuspatronato sulle stesse. Fu così
che, tra la fine del XVII secolo e per tutto il successivo, le cappelle furono
completamente rivestite da sontuosi apparati decoratavi di gusto barocco con
ampio uso di legno intagliato e soprattutto di stucco, materiali poveri,
preferiti ai più costosi marmi, che nelle chiese di Cingoli avrebbero dato
risultati di sorprendente bellezza. All’appello risposero le famiglie più
importanti della nobiltà cingolana – Raffaelli (cappella di San Gaetano, 1662),
Silvestri (cappella delle Reliquie, 1665), Silvestri, Puccetti e Crescioni
(cappella di S. Liborio, 1666), Cima (cappella del Santissimo Crocifisso, 1669)
– e la Confraternita del Santissimo Sacramento che nella cappella omonima pose
la pala d’altare con Santa Caterina d’Alessandria proveniente dalla Pieve di
Santa Maria
L’apparato decorativo barocco fu completato con
due scenografici altari sulle pareti di fondo del transetto, con statue ed
esuberanti fastigi in stucco, e un dossale in legno intagliato e dorato sopra
l’altare maggiore databile al 1758 con la statua della Madonna di Loreto e sei
scene della Vita della Vergine.
Altro elemento interessante della cattedrale sono
i monumenti funebri che, in assenza delle navate laterali, dove in genere
restavano più ‘nascosti’, sono stati costruiti sui pilastri tra le cappelle.
Particolarmente interessanti sono i monumenti in onore di Francesco Cima delle
Stelle (terzo pilastro a sinistra, 1746) e del gesuita Luigi Simonetti (parete
sinistra dell’abside orientale, 1790) ai quali corrispondono, simmetricamente,
quello del conte Ugolino Francesco Benvenuti (1760) e quello del cardinale
Raniero Simonetti (1750). L’ultimo ad essere realizzato, e con un iter che si
prolungò dal 1830 al 1838, fu il monumento in onore del papa cingolano Pio VIII
Castiglioni posto sull’ultimo pilastro a sinistra.
Con l’elezione al soglio pontificio di Pio VIII
nel 1829 si pose mano al completamento del rivestimento esterno della facciata.
I lavori iniziarono immediatamente, ma la morte prematura del papa, avvenuta il
30 novembre del 1830, comportò la definitiva sospensione dei lavori. Da quel
momento non si hanno più notizie della cattedrale fino al 1937-1939 quando il
Capitolo decise di completare e rinnovare l’interno con la costruzione della
balaustra del presbiterio, del pavimento, delle vetrate e soprattutto con la
decorazione pittorica affidata ai decoratori Olivio Luchetti e Umberto Natalini
di San Severino Marche e al pittore Donatello Stefanucci di Cingoli. Ai primi
spettarono la dignitosa decorazione in monocromo, vagamente baroccheggiante,
delle volte dell’aula e del transetto con specchi mistilinei, cartelle, festoni
e gli stemmi di Pio XI e del vescovo Monalduzio Leopardi sulla controfacciata;
al secondo le deboli pitture del catino absidale.
La topografia dei giuspatronati, a trent’anni di
distanza dalla consacrazione della nuova chiesa seicentesca, è efficacemente
sintetizzata nel Tomo degli alberi genealogici delle Famiglie Cingolane
di Francesco Maria Raffaelli in cui, alla data 1683, gli otto altari della
chiesa di Santa Maria Assunta e i nomi delle famiglie cui essi spettavano sono
elencati a partire dalla cappella maggiore, e poi nelle due navate, in cornu
evangelii (il Vangelo viene letto o cantato nell’angolo del Vangelo, cioè
sul lato destro dell’altare, ovvero a sinistra per i fedeli che guardano o
entrano in chiesa) e in cornu epistolae (l’Epístola viene letta o cantata
sull’altare nell’angolo dell’epistola, cioè sul lato sinistro dell’altare,
ovvero a destra per i fedeli che guardano o entrano in chiesa). La cappella di
Sant’Albertino è l’unica sotto il patronato pubblico della comunità di Cingoli,
mentre non viene menzionata la cappella del Battesimo, spettante al Capitolo
della Cattedrale. Per il resto la situazione del 1683 si rispecchia abbastanza
fedelmente nella chiesa attuale e nei suoi arredi, che rispetto alla seconda
metà del Seicento hanno subito cambiamenti non radicali e spesso documentabili
anche con l’aiuto dei resoconti delle visite pastorali.
Partendo dall’ingresso la prima cappella sulla
destra è quella dedicata a Sant’Albertino abate, verso il quale il comune di
Cingoli ebbe un culto particolare; la tela sull’altare,
di ignoto autore e raffigurante Sant'Albertino e una devota, fu forse tra le prime a decorare la
nuova chiesa subito dopo la consacrazione, essendovi stata trasportata nel 1659
dalla chiesa di San Filippo insieme ad altre opere. Poiché Albertino, priore
dell’abbazia di Fonte Avellana morto nel 1294 era considerato protettore contro
le malattie epatiche e le ernie inguinali e ombelicali, è probabile che il
quadro, come una sorta di grande ex voto, rappresenti una devota che invocando
il santo, canonizzato però solo nel 1782, avesse ottenuto una miracolosa
guarigione per il figlio. Solamente nel 1719 tuttavia il dipinto fu ornato della
magnifica cornice in stucco costituita da un rigoglioso doppio tralcio vegetale
a foglie d’acanto dallo sviluppo simmetrico abitato da tre putti, opera di
Giuseppe Antonio Mogliani, uno scultore noto fin dal 1687 anche per lavori
d’intaglio ligneo.
La seconda cappella entrando in cornu epistolae
è dedicata a San Gaetano e fu concessa nella seduta consiliare del 14 marzo 1662
a Nicola Antonino Raffaelli, il quale in cambio si impegnava a spendervi cento
scudi in tre anni e a farvi dipingere un quadro raffigurante il santo.
Sull’altare rivestito di marmi colorati tra due colonne corinzie vi è infatti
una tela di Pier Simone Fanelli con la Morte di san Gaetano, la Vergine col
Bambino, san Giuseppe, san Pietro, san Paolo e angeli.
La terza e ultima cappella della navata destra, sotto il giuspatronato Cima di
Santo Spirito è così descritta nel resoconto della Sacra Visita del 1726: “Nella
navata Cornu Epistolae vi è una Cappella ben lavorata di stucco con diverse
statue coll’altare, in cui vi è l’Immagine della SS.ma Vergine dipinta nel muro
detta la Madonnina, con ornamento d’intaglio di Legno dorato d’avanti, ed è del
Sig. Gaetano Cima”. Sull’altare in scagliola sovrastato da un nuvolario in
stucco con cherubini e con al centro la colomba dello Spirito Santo, vi è
un’immagine della Madonna addolorata in una ricca cornice in legno intagliato e
dorato, con due piedi a zampa di leone poggianti sulla mensa, e nelle nicchie
laterali dall’elegante disegno tardo manierista ornate da conchiglie, due statue
in stucco raffiguranti santa Rosalia (?) a sinistra e santa Margherita d’Antiochia
a destra, opera di maestranze locali. La nuova immagine della Madonna addolorata
fu collocata nella cappella nel 1857 essendo ormai l’antico dipinto sul muro
molto rovinato e quasi invisibile. Al termine della navata, addossato alla
parete, vi è il pulpito ligneo costruito nel 1743, dietro il pagamento di trenta
scudi, da Giacomo Barteloni.
La cappella maggiore, assegnata il 25 novembre del
1665 alla Compagnia dei nobili del Santissimo Sacramento, che si impegnava a
decorarla con una spesa di 50 scudi ha conservato in parte il suo arredo
seicentesco, per esempio il coro in legno di noce e, all’entrata, le due grandi
statue di legno dipinte a finto bronzo raffiguranti san Pietro e san Paolo,
modelli per le sculture che dovevano essere collocate nelle nicchie della
facciata non finita.
La decorazione del catino
dell’Abside fu eseguita nel 1939 dal pittore cingolano Donatello Stefanucci. Al centro è posta
l’Assunta, ai lati i SS. Esuperanzio e Sperandia seguiti dai “Dodici
del SS. Sacramento”, confraternita della Cattedrale che issano lampioni
e indossano sacco bianco e rocchetto rosso.
Nell'abside destro è raffigurato il Discorso della montagna, opera
anch'essa di Stefanucci.
La prima cappella in cornu evangelii è
quella del Battistero, spettante al Capitolo della Cattedrale. Menzionata nel
resoconto della Sacra Visita del 1726 e più accuratamente descritta in quella
del 1777, la decorazione consiste in un finto drappo in stucco con frange d’oro
appeso al colmo dell’arco alla sommità della parete di
fondo, che ricadendo ai lati con ampie pieghe piatte si apre come un sipario a
scoprire l’enorme raggiera dello Spirito Santo e più sotto, il Battesimo di
Cristo e il fonte battesimale dissimulato entro finte rocce.
La seconda cappella, sullo stesso lato, è dedicata
a San Liborio, con il giuspatronato di Eurialo Silvestri, Giuseppe Puccetti e
Taddeo Crescioni che lo ottennero dal Consiglio di Credenza l’8 agosto del 1666,
in cambio dell’obbligo a provvedere alla decorazione e a porvi il quadro
raffigurante San Liborio. La tela seicentesca sull’altare raffigura infatti
l’anziano vescovo francese nella consueta iconografia, cioè accompagnato da un
angelo che regge un piatto con piccole pietre, essendo San Liborio protettore
dei malati di calcoli renali. Nel pilastro tra la seconda e la terza cappella
nella navata sinistra vi è il monumento in onore di Francesco Cima delle
Stelle, morto nel 1746, lavoro in scagliola del plasticatore Ampelio Mazzanti.
La terza cappella del lato sinistro è intitolata
al Crocifisso, con l'immagine del SS.mo Crocifisso.
La ricca decorazione plastica della cappella dovette essere compiuta tra il 14
marzo 1669 quando Ubaldo Cima, cui veniva concesso il giuspatronato, si
impegnava a farla portare a termine nel giro di tre anni con una spesa di 200
scudi e il 1726, quando è citata nella relazione della Sacra Visita. Il
Crocifisso è circondato da una cornice mossa e sinuosa che in alto si allarga
per comprendere la raggiera con Dio Padre; all’esterno della cornice vi sono due
grandi angeli adoranti, quello di destra semi-inginocchiato e ai lati le belle
statue pienamente barocche di san Nicola di Bari a destra e san Pietro a
sinistra, ampiamente panneggiate fortemente aggettanti dal profilo delle nicchie
che dovrebbero contenerle. Sul pilastro angolare verso la navata sinistra vi è
il monumento in onore di Pio VIII Castiglioni, del 1830: la parte inferiore è
costituita da un basamento con un elegante motivo a doppia voluta con palmetta
centrale inciso su marmo bianco al di sopra del quale vi è l’iscrizione
dedicatoria in lettere d’oro su una lastra di marmo grigio; nella parte centrale
si apre un clipeo circondato da volute e palmette angolari incise, con il busto
del pontefice in marmo bianco, opera di Pietro Tenerani. Il monumento è coronato
dallo stemma del papa Castiglioni.
Nella sacrestia sono conservate
alcune pregevoli opere.
Il trittico di Zanino di Pietro, pittore di
origine francese attivo a Venezia e Bologna almeno fino a tutto il quarto
decennio del Quattrocento, raffigurante I santi Nicola di Bari, Andrea e
Lucia, proveniente da Valcarecce. Esso costituisce la parte superstite di un
polittico a due registri il cui pannello centrale è probabilmente una Madonna
col Bambino della Pinacoteca Nazionale di Ferrara.
Il polittico Madonna con
Bambino in trono e angeli, Santa Caterina d'Alessandria, San Pietro,
Sant'Esuperanzio, San Bonfiglio, Crocifissione di Cristo, Santi. Negli scomparti laterali
sono raffigurati, da sinistra a destra, i
santi Caterina d’Alessandria, Pietro, Esuperanzio vescovo e Bonfilio vescovo;
nelle cuspidi, i quattro Dottori della Chiesa e al centro la Crocifissione. Il
nome di Giovanni Antonio da Pesaro (Pesaro 1415 ca.- ante 1478) fu pronunciato
per quest’opera da Federico Zeri che nel 1948 diede forma alla personalità
dell’artista, discendente da una famiglia di pittori originari di Parma, i
Bellinzoni separandola da quella di Antonio da Fabriano, cui anche il polittico
del duomo di Cingoli era stato precedentemente riferito da Berenson.
Il San
Tommaso d’Aquino, opera di Pier Simone Fanelli. Il dipinto rappresenta
un episodio di cui san Tommaso fu protagonista nel 1273, nella cappella di San
Nicola in San Domenico a Napoli: mentre pregava davanti al Crocifisso, il Santo
fu visto elevarsi in estasi e si udì il Cristo approvare la sua dottrina con le
parole “Bene scripsisti de me Thoma”. Il Fanelli tuttavia modifica
semplificandola, l’iconografia di questo evento miracoloso e rappresenta il
Santo mentre scrive, e non in preghiera e in elevazione, e affida all’angioletto
un filatterio con le parole pronunciate da Cristo crocifisso.
|
|
Alle prime luci del mattino
(foto
di S. Mosca) |
|
(1) G.
Malazampa, La cattedrale di Cingoli, Tipografia Mazzini,
Cingoli 1939, p. 5
(2) G. Malazampa,
cit., p. 6
(3) G. Malazampa,
cit., p. 7
(4) G. Malazampa,
cit., pp. 7-8
(5)
G. Malazampa, cit.,
p. 8
(6)
G. Malazampa, cit.,
p. 11
Fonte:
S. D'Amico, Una chiesa della controriforma
a Cingoli: Santa Maria Assunta, in G. Barucca (a cura di), Le Cattedrali.
Macerata, Tolentino, Recanati, Cingoli, Treia, Tecnostampa, Loreto (AN)
2010, pp. 213-217 (volume on-line:
http://www.turismomacerata.it/it/pubblicazioni)
S. Blasio, Le cappelle gentilizie della
chiesa di Santa Maria Assunta di Cingoli: dipinti, stucchi e intaglio ligneo,
in in G. Barucca (a cura di), Le Cattedrali. Macerata, Tolentino, Recanati,
Cingoli, Treia, Tecnostampa, Loreto (AN) 2010, pp. 224-235 (volume on-line:
http://www.turismomacerata.it/it/pubblicazioni)
P.
Appignanesi, Guida della città e del territorio, in Cingoli.
Natura Arte Storia Costume, Cingoli 1994, pp.
98-99
|
|
|
Home
Page Cingoli |
Sommario |
S. Antonio |
|