Non
esistono culture in cui la Luna sia presenza assoluta e dominante
nella mitologia e nei culti; l'esperienza umana, anche la più
semplice, è infatti collegata con i fenomeni solari e astrali,
oltre che con quelli lunari. Nelle mitologie antiche, e in molte
primitive, l'astro del giorno e quello della notte sono quindi
uniti tramite un legame di duplice sorte: fratello e sorella (come
presso i Greci e i Romani) oppure marito e moglie e, insieme,
fratello e sorella (come presso gli Incas e nelle religioni
scandinave). Eppure la mitologia lunare sembra precedere quella
solare e la Luna pare essere l'elemento che in maggior misura, e
da più antica epoca, determina la formazione dei miti.
Il
più vicino e il meglio osservabile tra gli astri è divenuto, con
il suo moto, le sue fasi, l'influenza esercitata sulle maree, le
eclissi, una realtà estremamente significativa in ogni esperienza
religiosa antica e primitiva. Le
credenze arcaiche (passate nel folklore e nella cultura popolare
e, in qualche caso, rimesse in discussione dalla scienza
contemporanea) sull'influenza della Luna sulla vegetazione, sul
tempo meteorologico, sulla mestruazione, sulla psiche umana
sembrano essere un ulteriore indizio del carattere primordiale dei
miti legati alla Luna.
Anche
il fatto che il calendario lunare, basato su un ciclo più
facilmente osservabile e più agevolmente misurabile di quello del
Sole, abbia preceduto, nella storia dell'umanità, il calendario
solare potrebbe confermare l'ipotesi che il culto lunare sia più
antico di quello solare, almeno in molte parti del mondo.
Divinizzata, come altri astri nell'antichità, la Luna presenta
nella sua mitologia un carattere essenziale, quello dell'eternità.
Immortale perché riappare ogni mese dopo essere momentaneamente
scomparsa, essa simboleggia una eterna rinascita, una vittoria
sulla morte, una garanzia, per l'uomo, di una realtà ciclica che
si rinnova.
Essere
femminile (la donna, la moglie del Sole), ma anche maschio in
molte culture primitive e nell'antica Frigia, ove era venerato il
dio lunare Men, ricordata come divinità androgina
"che cresce e decresce ed è femmina e maschio" negli
Inni Orfici e nel trattato De Iside et Osiride di Plutarco,
la Luna è, per i popoli indoeuropei, per Greci e Latini, quasi
sempre divinità femminile, sorella del Sole, divinità maschile.
Nel
panteon egiziano, dopo la fondazione di Alessandria (332 a.C.) e
l'ellenizzazione di molti culti egizi, Iside, rappresentata con
l'immagine della Luna crescente sul petto e sul capo, è la
personificazione della Luna. Nella cultura assiro-babilonese il
dio della Luna è Sin; per il fenomeno delle fasi lunari è
considerato l'astro che cresce e decresce, identificato come
"il padre che genera", "la madre che crea";
dal nome di questa divinità deriva, secondo un'ipotesi assai
probabile, il nome del monte Sinai. Un culto lunare minoico sembra
attestato in Creta dalla rappresentazione della Luna su gemme e
anelli.
Nella
più antica religione greca, la Luna non pare essere presente; però
l'astro ha un ruolo importante nel folklore, nella magia e nella
poesia greca di età più arcaica. Nell'Iliade e nell'Odissea
essa non è considerata una divinità ed è solo con Esiodo che
viene stabilita la genealogia della divinità lunare Selene,
figlia del Titano Iperione e di Theia e sorella del Sole e
dell'Aurora. In Roma il culto
della Luna (da una radice luc, che indica la luce) dovette
essere molto antico. Introdotto dal sabino Tito Tazio, secondo
Varrone (De lingua latina, V, 74) precedette l'adozione, da
parte dei Romani, del culto di Selene (e di Artemide, altra
divinità che assunse in Grecia caratteristiche lunari). In Roma,
in età classica, la dea Luna si confuse con Diana, anch'essa
venerata come divinità astrale.
Per
quanto in Roma, come in Grecia, la mitologia che riguarda la Luna
sia quasi inesistente (eccezione fatta per i suoi amori col
pastore Endimione), essa, sia come divinità, sia come oggetto
celeste, ebbe un ruolo di primo piano nel mondo romano.
Nelle
civiltà antiche (come in molte culture primitive) esisteva dunque
un rapporto religioso particolarmente rilevante tra esseri umani e
Luna. Questo rapporto entrava drammaticamente in crisi quando la
Luna si manifestava non più nella normalità delle sue fasi, ma
attraverso un fenomeno come le eclissi, considerato
"anormale" per la relativa rarità con cui si presentava
e perché non se ne conobbero per lungo tempo le cause.
Le
eclissi lunari (come quelle solari) erano dagli antichi
interpretate come un segno della collera della divinità lunare,
come la prova di una vicenda, di una lotta mitica che si compiva
in cielo; e questo per lungo tempo, anche dopo che, come vedremo,
le conoscenze astronomiche dei Greci e dei Latini avevano dato
spiegazione del fenomeno. Comprensibile, quindi, che
l'osservazione delle eclissi costituisca parte della storia delle
civiltà del passato.
Nell'area
assiro-babilonese le eclissi erano osservate in modo sistematico e
venivano previste in maniera abbastanza sicura anche se non se ne
conoscevano esattamente le cause. Considerate secondo Diodoro come
presagi, favorevoli o funesti, al pari di quelle solari, le
eclissi di Luna erano dai Caldei meglio conosciute e predette di
quelle solari.
Nel
mondo egiziano (come attesta anche la mitologia) le eclissi
dovevano essere osservate e studiate ed è stato supposto che le
conoscenze di Talete - il quale, secondo Erodoto e Cicerone,
avrebbe scoperto le cause delle eclissi - siano frutto di un lungo
soggiorno in Egitto del filosofo ionico. È certo, comunque, che i
sacerdoti egiziani al seguito di Alessandro il Grande, conoscevano
le reali cause dell'eclisse di Luna da loro osservata lungo il
Tigri, prima della battaglia di Arbela, la notte del 20 settembre
del 331 a.C., anche se, per Curzio Rufo che descrive l'episodio:
"essi non rivelarono alla folla la scienza che avevano
acquisita" e interpretarono il fenomeno come un prodigio
favorevole al condottiero macedone.
Almeno
al secondo millennio a.C. sembrano risalire in Cina le predizioni
delle eclissi. Secondo alcune fonti, dall'imperatore Hoang-Ti
sarebbe stato istituito un "tribunale matematico" per
dare sviluppo all'astronomia e per favorire le previsioni delle
eclissi.
Nel
mondo greco, secondo la tradizione più diffusa (e nonostante il
carattere piuttosto primitivo delle sue idee cosmologiche) Talete
avrebbe per primo chiarito la ragione delle eclissi. Più
presumibilmente, la scoperta va attribuita ad Anassagora, attorno
alla metà del V secolo a.C. Le più perfezionate teorie sul moto
del Sole e della Luna risalgono però a Ipparco (II secolo a.C.).
Considerate
in Roma un prodigio, registrate con ogni probabilità nelle Tabulae
che i Pontefici redigevano ogni anno, le eclissi furono studiate e
predette, già dal II secolo a.C., da Sulpicio Gallo, il primo
vero astronomo romano, che dovette utilizzare tutte le teorie in
precedenza elaborate nell'ambito della cultura greca.
Conoscenze
astronomiche molto complesse, derivanti da osservazioni che si
fanno risalire al V secolo a.C., possedettero i Maya, che ci hanno
lasciato tabelle per la previsione delle eclissi di Sole e di
Luna. Restando nell'ambito del bacino del Mediterraneo e limitando
l'indagine al mondo greco-romano risulta spontanea una
considerazione: le cause esatte delle eclissi erano note dalla metà
del V secolo a.C.; eppure, al di fuori delle cerchie
ristrettissime delle persone colte, le spiegazioni che, a livello
popolare, venivano date delle eclissi di Luna non tenevano conto
alcuno delle teorie astronomiche elaborate ed esprimevano,
piuttosto, credenze ancestrali profondamente radicate nell'animo
umano.
Se
in Omero l'eclisse è una "morte" dell'astro, da un
passo di Plutarco (De facie in orbe lunae, 931) sappiamo
che per altri poeti vissuti tra il VII e il V secolo a.C.,
Mimnermo, Archiloco, Stesicoro e Pindaro, l'astro era
"tolto", "rubato" al cielo. Secondo una
diffusa superstizione, antica quanto i miti "lunari" di
Circe e di Medea (figlie di Hecate-Luna), durante le eclissi la
Luna era vittima di sortilegi, di procedimenti magici grazie ai
quali le donne di Tessaglia, maghe espertissime, erano in grado di
"attrarre", di "tirar giù" l'astro dalle
regioni celesti.
Questa
credenza popolare appare in un passo di Aristofane (Le nuvole,
V, 748-752) in cui Strepsiade spiega a Socrate come ha immaginato
di rinviare la fine del mese, per non pagare i suoi debiti:
"Se comprassi una maga tessala e se di notte facessi scendere
la Luna e la chiudessi in un astuccio rotondo, come uno specchio,
e la tenessi ben guardata?"
L'erudito
autore di alcuni commenti agli Argonautica di Apollonio
Rodio (III, 533) che cita molte opere per noi perdute, giudica
molto antica questa superstiziosa convinzione e asserisce:
"Apollonio fa allusione al mito... delle maghe che facevano
discendere la Luna: alcuni chiamavano le eclissi di Sole e di Luna
discesa (kathàiresis) degli dei... così fino all'età di
Democrito, molti chiamavano le eclissi kathàiresis":
Plinio (Naturalis Historia, XXX, 7) ricorda un titolo, La
donna di Tessaglia, dato da Menandro (IV secolo a.C.) "a
una commedia che rappresentava le cerimonie misteriose che
compivano le donne per far discendere la Luna".
Nella
letteratura latina sono numerosissimi i passi che attestano lo
stesso convincimento circa le eclissi, di Luna come effetto di
incantesimi magici che possono distogliere l'astro dalla sua vita
celeste e attirarlo sulla terra. Virgilio (Bucoliche, VIII,
69) sa che i "carmi possono tirar giù (deducere) la
Luna dal cielo" e Orazio (Epodi, V, 45-46) ricorda la
riminese Folia "quella che con i suoi tessali incantesimi /
tira giù gli astri e la Luna". Tibullo (I, 8, 21-22) afferma
che "gli incantesimi tentano di far discendere la Luna dal
suo carro". Nell'omonima tragedia di Seneca (vv. 750-752),
Medea così si rivolge alla Luna: "E ora, evocata dai miei
incantesimi, vieni, o astro delle notti, con il tuo aspetto più
sinistro e la minaccia della tua triplice fronte". Silio
Italico (VIII, 498-501), infine, ricorda che fu Angizia "la
prima che fece conoscere le piante velenose, imparò a domare col
tocco i veleni, a staccare la Luna dal cielo, a fermare il corso
dei fiumi".
E
a questa atavica superstizione che si riconnette (evidentemente
come reazione rituale) l'abitudine di produrre violenti rumori,
battendo su oggetti di bronzo suonando corni o trombe durante le
eclissi di Luna.
Plinio
ricorda che prima della scoperta delle cause naturali del fenomeno
gli uomini "credevano la Luna vittima di malefìci" e le
venivano in aiuto con ogni sorta di rumori. Lo scopo doveva essere
quello di liberare l'astro dall'influsso delle parole magiche, di
impedire che queste arrivassero fino ad esso. È forse possibile
però un'altra interpretazione dei "rumori dissonanti"
che i Romani producevano durante le eclissi di Luna. Luna
laborat: "la Luna soffre, prova pena" era
l'espressione più comunemente usata dagli scrittori latini. Nei
rumori originati per venire in aiuto all'astro può essere visto
un tentativo analogo a quello compiuto, anche in epoche recenti,
dai popoli più diversi (dagli indigeni delle Salomone agli
Eschimesi, dai Mauritani ai Cinesi e agli Indonesiani, dagli
antichi Peruviani alle tribù dell'America settentrionale) i quali
ritenevano, producendo suoni acuti, di spaventare il
"mostro" che minaccia di divorare (o sta divorando) la
Luna.
Che
nei primordi della loro storia i Romani abbiano avuto un mito
circa un mostro divoratore della Luna e che abbiano fatto ricorso
alla stessa reazione rituale è probabile per quanto di ciò non
resti traccia nei testi letterari. Anche in area assiro-babilonese,
del resto uno dei rituali religiosi più importanti durante le
eclissi di Luna era il suono del timpano sacro, accompagnato da
lamentazioni fino al termine del fenomeno, fino a quando la luce
non fosse tornata. Possediamo anche descrizioni di un cerimoniale
cinese risalente a quattro millenni a.C.; accanto ad altri riti,
si percuoteva violentemente un tamburo "per liberare
l'astro" dal cane o dal drago che lo stava divorando.
Nello
spirito romano, comunque, non dovevano sussistere tracce del mito
(evidentemente non solo indoeuropeo) del mostro divoratore della
Luna e, almeno a partire dal I secolo a.C, i rumori rituali
provocati dai Romani durante le eclissi di Luna erano destinati a
combattere l'effetto di incantesimi piuttosto che a mettere in
fuga un qualche mostro divoratore dell'astro. Lo dimostrano i
versi in cui Tibullo (1,8,21-22) afferma: "l'incantesimo
tenta di trarre giù la Luna dal suo carro / e la trarrebbe senza
il rumore dei bronzi percossi".
Le
cause delle eclissi di Luna, come si è detto, erano state
indagate nel mondo greco a partire dal V secolo e, a Roma, almeno
dal II secolo a.C. Ai soldati romani
che, durante l'eclisse di Luna nella notte tra il 21 e il
22 giugno del 168 a.C. "si misero a battere oggetti di bronzo
e alzarono verso il cielo tizzoni e torce in grande quantità"
fu Sulpicio Gallo a chiarire le origini naturali del fenomeno
(Plinio, II, 53). Eppure, a livello di religiosità popolare,
nonostante le spiegazioni astronomiche del fenomeno, le eclissi di
Luna continuavano a restare cariche di significati nefasti e
identiche rimasero le reazioni rituali. Così Tacito (Annali,
I, 28) ricorda l'eclisse di
Luna verificatasi nella notte tra il 26 e il 27 settembre del 14
d.C. in Pannonia: "si vide infatti oscurarsi improvvisamente
la Luna nel cielo sereno. I soldati, ignari della causa di tale
fenomeno, interpretarono l'avvenimento come presagio della sorte
presente, paragonando l'impallidire dell'astro ai propri travagli
e ritenendo che avrebbero conseguito il successo nell'azione
intrapresa se la dea fosse riapparsa nel suo fulgido splendore.
Fanno dunque strepito con cimbali, tube e corni, presi dal giubilo
e dall'angoscia a seconda che la Luna diviene più luminosa o più
oscura; e quando infine le nubi levatesi ne impedirono la vista e
fu creduta sepolta nelle tenebre, facili come sono le menti alla
superstizione, quando siano a un tratto colte dal timore,
scoppiano in lamenti pronosticando eterni travagli e l'ostilità
degli dei ai loro misfatti" (trad. di A.R. Barrile).
Da
un'omelia di S. Massimo, vescovo di Torino, sappiamo che gli
stessi cristiani non si erano ancora liberati da questa
superstizione nel V secolo d.C. e numerosi altri testi ricordano i
clamores e rumores fatti in Occidente, ancora in età
medievale, durante le eclissi di Luna. Il filo che lega l'umanità
a questa primordiale superstizione, a questo rituale primitivo e
assai diffuso scende però ben più giù, ben oltre il Medio Evo,
sino ai nostri giorni. I soldati che, a Pnom-Phen, in Cambogia,
furono visti esplodere raffiche di mitragliatrice e lanciare
granate verso la Luna nel corso di un'eclisse, senza rendersene
conto compivano un gesto che riportava ad ancestrali (e
universali) timori non ancora del tutto vinti.
Scheda
autore
Luigi
Zusi. Nato nel 1942, si è laureato in Storia
antica all Università di Padova. Ha insegnato
italiano e latino nei licei; è ora preside di
ruolo presso un liceo scientifico di Padova e
riveste un comando presso l'Istituto Regionale di
Ricerca Sperimentazione,
Aggiornamento Educativi (IRRSAE) del Veneto. Ha
pubblicato diversi articoli di argomento
storico-letterario riguardanti la civiltà romana su
riviste specializzate; è autore di un volume
sull'età sillana. |
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Sommario |
Il
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