Neolitico
antico |
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Facies
della Ceramica Impressa
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Aspetto
meridionale (Su Carroppu) |
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Aspetto
settentrionale (Grotta Filiestru) |
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Neolitico
medio |
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Cultura
di Bonu Ighinu |
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Cultura
di Ozieri |
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Cultura
di Arzachena |
Neolitico
Antico - Facies della Ceramica Impressa
Le
prime testimonianze neolitiche, risalente agli inizi del VI
millennio a.C., si pongono fra le manifestazioni occidentali più
antiche del Neolitico, insieme ad alcuni siti della Corsica e delle
aree costiere alto e medio tirreniche. Gli insediamenti, in grotta,
ripari sotto roccia e all'aperto, testimoniano un'economia di
sussistenza basata sull'allevamento (bue, capra, pecora), la caccia
(cervo elafo, muflone, cinghiale, Prolagus sardus), la pesca
(pesci, crostacei, molluschi), la raccolta e su una prima forma di
attività agricola. E' in questa fase inoltre che inizia l'attività
estrattiva dell'ossidiana sul Monte Arci.
E' attualmente possibile
distinguere un aspetto meridionale (Su Carroppu) da uno
settentrionale (Grotta Filiestru).
Nell'area
meridionale della Sardegna compare un aspetto del Neolitico
caratterizzato da una ceramica e da un'industria litica simile ai
complessi della Francia meridionale e della Spagna del VI-V
millennio a.C. Tra le forme ceramiche sono presenti la ciotola e l'olla con piccole anse a maniglia orizzontale decorate con larghe
bande impresse e triangoli campiti in vario modo; nell'industria
litica, su ossidiana e selce, compaiono microliti geometrici
(trapezi, semilune, triangoli), cuspidi a tranciante trasversale di
varie forme (trapezoidali, triangolari, ad U con tallone
arrotondato), punte a dorso, grattatoi, lame e schegge ritoccate.
Attestata è anche l'industria su osso (punteruoli). Il sito che ha
restituito le maggiori e più significative testimonianze di questo
aspetto meridionale è il Riparo di Su Carroppu di Sirri (Cagliari).
Il
sito di riferimento per l'aspetto settentrionale è la Grotta Filiestru a Bonu Ighinu (Mara, Sassari), nella
quale sono stati riconosciuti tre differenti momenti. Il più
antico, con datazioni di 4760-4665-4565-4520±65 a.C., è
caratterizzato da una ceramica cardiale con prevalenza di forme
aperte semplici e più o meno profonde; tra le forme maggiormente
rappresentate, con anse a maniglia o prese a lingua, vi sono la
ciotola emisferica, l'olla, il vaso a fiasco e la ciotola carenata.
La decorazione, che in alcuni casi interessa anche la superficie
delle anse, presenta motivi più vari e raffinati rispetto a quella
della fase meridionale del Neolitico antico; può essere ad
impressione (con bande, triangoli, riquadri tratteggiati) ad
incisione o plastica (costituita da un cordone orizzontale che corre
lungo il vaso). Alcuni frammenti di vasellame presentano inoltre un'ingubbiatura
di colore rosso che talvolta copre anche la decorazione impressa e
plastica. Quest'ultimo elemento, insieme al tipo di decorazione e
alla buona qualità della ceramica, avvicina la produzione dell'area
settentrionale a quella Cardiale di Basi, alla ceramica impressa
delle Arene Candide e di Pienza, al Cardiale Iberico e al Midi
francese.
La presenza di Triticum monococcum e di Triticum
dicoccum, insieme ad alcune macine, attestano l'inizio di una
prima attività agricola mentre l'allevamento è documentato da
resti di caprovini.
Il
secondo momento (taglio superiore dello strato 7 e taglio inferiore
dello strato 6), collocabile nella seconda metà del V millennio
a.C. è caratterizzato da una ceramica, definita "epicardiale",
che presenta una decorazione limitata ad alcune parti del
vaso, generalmente il collo e le anse; è presente anche il decoro a
tacche impresse sull'orlo. Tra le forme ceramiche sono predominanti
i vasi a fiasco con corpo globulare o piriforme e collo distinto con
due, tre e persino quattro anse a maniglia o a gomito apicato,
modellato secondo una forma che ricorda un viso umano stilizzato. Il
tipo di ceramica presente in questo livello trova facili confronti
con la ceramica lineare continentale.
L'ultimo
momento (tagli superiori dello strato 6, 4170 e 3950±55 a.C.),
definito come "facies di Filiestru", si caratterizza per
una ceramica con anse a maniglia o apicate e con una decorazione con
motivi plastici; assente risulta la decorazione cardiale.
Nell'industria litica sono presenti le frecce a tranciante
trasversale prevalentemente del tipo arrotondato ad U. La presenza
di un anellone litico testimonia stretti rapporti commerciali con la
cultura dei Vasi a Bocca Quadrata e con le facies di Fiorano, Sasso
e Sarteano.
Neolitico
medio
Cultura
di Bonu Ighinu
Alla
facies della Ceramica Impressa succede la cultura di Bonu Ighinu
riconosciuta per la prima volta nella Grotta di Sa Ucca de Su
Tintirriolu nella località eponima (Mara, Sassari). Questa cultura
è diffusa in tutta l'isola prevalentemente in grotta e in ripari
sotto roccia, ma anche in siti all'aperto, sulle sponde di
stagni e corsi d'acqua (Cùccuru S'Arriu, Conca Illònis, Puistèris
di Mògoro). Le datazioni disponibili per questa cultura sono: 3730±160
a.C. per la Grotta di Sa Ucca
de Su Tintirriolu e 3675±65
a.C. per Filiestru. Anche nella Grotta di Sa Korona di Monte Majore
è presente un momento iniziale di questa cultura in cui però sono
ancora presenti elementi tipici della facies della Ceramica
Impressa.
La
ceramica, con impasto compatto e superfici lucide brune o
nero-grigiastre, raggiunge un notevole livello artistico. Tra le
forme maggiormente rappresentate vi sono la ciotola (a calotta,
emisferica, ad orlo rientrante, carenata, a collo distinto), l'olla,
il vaso a fiasco a collo distinto, il vaso globulare biansato con
collo cilindrico, il vasetto miniaturistico. La decorazione,
ottenuta ad incisione sottile, a excisione, a impressione
puntiforme, è piuttosto elaborata e associata a rilievi plastici
costituiti da protomi animali, bottoni circolari e faccine
antropomorfe. Piuttosto comuni sono le file di sottili tacche
impresse sull'orlo, sulla carena o sui bordi delle anse e le linee
incise con trattini. Oltre a festoni, cerchi concentrici,
semicerchi, spirali e triangoli sono caratteristiche le composizioni
solari, zoomorfe, a scacchiera o a triangoli che richiamano le
cultura di Serra d'Alto e Ripoli. Altre similitudini si possono
trovare con la facies poinçonnè di Curacchiaghiu in Corsica
(soprattutto per l'industria litica), con lo Chasseano del
Midi francese e con la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (per la
tecnica e la sintassi decorativa).
La
pratica agricola è documentata da Triticum dicoccum, Hordeum,
Lens e Vicia associate a macine (Filestru e Grotta
Corbeddu). L'economia di sussistenza era basata, oltre che
sull'agricoltura, anche sull'allevamento (pecora, capra, bue) e
sulla caccia (Prolagus sardus).
Nell'industria
litica su ossidiana compare il trapezio a ritocco erto o piatto,
mentre nell'industria su pietra levigata sono numerose le asce, le
accette e alcuni vasi. Presenti risultano anche punte e punteruoli
realizzati in osso.
Abbondanti
sono gli elementi decorativi consistenti in anellini e pendagli
d'osso, elementi di collana in conchiglie e clorite, zanne di
cinghiale, braccialetti di Spondylus (Grotta Rifugio di
Oliena), conchiglie forate e Dentalium (Grotta Corbeddu).
L'evoluzione
della cultura di Bonu Ighinu si coglie nella necropoli di Cùccuru
S'Arriu di Cabras posta nei pressi del villaggio. Sono attestate sia
fosse terragne singole (6, di cui 4 scavate nella roccia) che tombe
a grotticella artificiale con deposizioni multiple; in questa
necropoli gli aspetti rituali sono completamente differenti rispetto alla necropoli
della Grotta Rifugio di Oliena, all'interno della quale sono stati
rinvenuti i resti di almeno undici individui gettati alla rinfusa.
Nella necropoli di Cùccuru S'Arriu di Cabras le tredici grotticelle
ipogeiche sono costituite da una camera preceduta da un pozzetto di
accesso. In tutte le sepolture è documentata la deposizione
primaria con gli scheletri in posizione rannicchiata associati ad una
statuetta femminile.
«Il rituale funerario risulta ben documentato
soprattutto nella tomba
387; sul pavimento, rivestito da lastre di conglomerato, della camera ovale il
defunto giaceva sul fianco sinistro, con il braccio destro piegato e la mano aperta che
doveva impugnare una statuina litica femminile trovata in corrispondenza. Facevano
inoltre parte del corredo quattro vasi, tra cui una ciotola con due conchiglie aperte
incrostate di ocra rossa, un mazzo di punte in osso posto sopra la testa, altre quattro punte
di zagaglia presso le ginocchia, diverse perline e schegge di ossidiana.
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Planimetria
della tomba 387 di Cùccuru S'Arriu di Cabras (da
Cocchi Genick, p. 285) |
Le statuine rientrano nello schema
"volumetrico-naturalistico", quale definito da Atzeni; in posizione stante con testa cilindrica, braccia allungate e aderenti ai
fianchi, mani aperte sulle cosce, spalle arrotondate, corpo obeso contratto. Opera
d'arte di alto livello è la figurina della tomba 386, di particolare plasticità, che presenta un
originale e prezioso copricapo con eleganti copriorecchie a trafori.
Queste figurine raffiguranti la Dea Madre rientrano nei modelli di ampia
diffusione mediterranea, da Catal Hüyük e Hacilar alla Grecia, a Malta, alla stessa penisola
italiana; di particolare rilievo è la kourotrofos trovata a Perfugas (Sassari), frammentaria
proprio nella parte relativa al bambino di cui rimane la parte inferiore;
solenne ed ieratica come le altre statuine riconducibili allo stesso schema, presenta
posteriormente un motivo in rilievo che sembra rappresentare lunghi capelli fluenti sulle
spalle distribuiti a trecce, elemento ricorrente anche in altri esemplari»
(D.
Cocchi Genick, Manuale di Preistoria, Neolitico, p. 284).
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Statuetta
femminile da Su Anzu, Narbolia (da Lilliu, p. 53) |
Cultura
di Ozieri
Tra
il IV e il III millennio si sviluppa la cultura di Ozieri
individuata per la prima volta nella Grotta di S. Bartolomeo a
Cagliari e successivamente nella Grotta di S. Michele di Ozieri. Le
testimonianze di questa cultura sono particolarmente diffuse in
tutta l'isola, dalle zone montuose dell'interno sino alle coste e
alle isole, a dimostrazione di un notevole incremento demografico.
La ceramica, con impasti depurati a superfici lucide di colore nero,
grigio o giallo e figulina spesso rivestita di ocra rossa, è
testimoniata da numerose forme, ottenute con tecniche diverse e con
una diversificata decorazione.
Le forme maggiormente rappresentate sono le ciotole emisferiche e
profonde, carenate a colletto cilindrico o svasato, tazze carenate,
vasi a calathos, a cestello, pissidi cilindriche, piatti, vasi
globulari e biconici, anfore con anse "a tunnel" di tipo
maltese, tripodi. Fra i motivi decorativi sono particolarmente
significative le figure antropomorfe stilizzate, incise a coppia o a
gruppi, gli occhi, le stelle ed i simboli solari. E' inoltre
presente un'elaborata tecnica a stralucido rosso e una ceramica dipinta a bande orizzontali e a motivi geometrici su fondo
chiaro. Anche le fuseruole e i pesi da telaio sono spesso decorati
con motivi incisi.
Fra
l'industria litica, su selce e ossidiana, compaiono lame lunghe e
strette, cuspidi di freccia peduncolate o ovali, trapezi a tagliente
trasversale, grattatoi e punteruoli. Fra gli oggetti in pietra
levigata, oltre alle asce, le accette e le macine, sono presenti
vasi in marmo, in calcare, in steatite e in trachite; tra le forme presenti figurano le pissidi, i vasi tripodi o
tetrapodi, con evidenti richiami egeo-orientali, coperchi, piatti,
vasi a piede troncoconico o anulare, decorati a spirali o a zig-zag.
L'economia
di sussistenza era basata sull'allevamento (bue, maiale, pecora),
sull'agricoltura, documentata dalle numerose macine e macinelli e da
resti di Triticum compactum, Hordeum vulgare nudum, Pisum
sativum, sulla caccia (cervo, cinghiale, muflone), sulla pesca e
la raccolta. I numerosi pesi da telaio e le fuseruole testimoniano
la pratica della tessitura mentre il commercio dell'ossidiana si
sviluppa ulteriormente verso il Mediterraneo orientale (Egeo, Malta) e
occidentale (Italia settentrionale, Svizzera, Francia). Nel sito di
Su Coddu di Selargius (Cagliari), sia della fase di
Ozieri che sub-Ozieri, sono state rinvenute
delle scorie di lavorazione del rame e dell'argento a testimonianza
dello sviluppo di una prima pratica metallurgica.
«Il culto della Dea Madre si esprime in una vasta produzione di statuette fittili e in
marmo riconducibili allo schema geometrico "cruciforme" o
"a traforo". Quelle a schema cruciforme, di cui è tipico l'idolo di Senorbì,
presentano gambe e fianchi fusi in un cono rovesciato con sviluppata steatopigia busto
quadrangolare a placca con espansioni laterali quadrate, trapezoidali o coniche e
mammelle ben evidenziate; spesso due incisioni oblique si dipartono alla base del collo che
insieme alla testa costituisce un unico volume cilindrico o cilindro-conico. I
lineamenti del volto sono limitati alla rappresentazione del naso, a listello o a pilastrino, e
talora degli occhi, impressi o incisi negli esemplari fittili, forse dipinti in quelli marmorei
come sembrano indicare due ombre circolari nella statuetta di
Senorbì.
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Idoletto
marmoreo, Turrìga-Senorbì (da
Cocchi Genick, p. 290) |
Idoletto
marmoreo, Porto Ferro (da
Cocchi Genick, p. 290) |
Gli idoli "a placca traforata", esclusivamente in marmo, presentano una
stilizzazione geometrica ancor più rigida del tipo di Senorbì. Il busto e le braccia sono
costituiti da una placca trapezoidale in cui due intagli triangolari staccano le braccia ripiegate
a squadra; sono sempre rappresentati i seni e talora alla base del collo appare la
doppia incisione a V. La parte inferiore del corpo è generalmente ridotta, ovoidale o
rastremata verso il basso, con leggero rigonfiamento posteriore ad indicare i glutei. La
testa discoidale è nettamente distinta dal lungo collo subcilindrico, il naso è
costituito da un listello in rilievo e gli occhi da incisioni circolari o quadrangolari, da
concavità o da rilievi globulari. L'analisi dei contesti da cui
provengono i vari esemplari finora ritrovati, fra i quali quelli
più noti sono quelli di Porto Ferro, sembra suggerire che la
produzione delle statuette a traforo abbia avuto inizio in ambito tardo-Ozieri e si sia protratta in
facies culturali successive; anche per questo tipo sono stati stabiliti confronti con
l'ambiente egeo» (D.
Cocchi Genick, Manuale di Preistoria, Neolitico,
cit., pp. 289-290).
L'aspetto
più imponente della cultura di Ozieri è comunque dato dalle
necropoli e dai luoghi di culto. Oltre alle semplici deposizioni in
fosse terragne, sia all'interno dei villaggi che in grotte naturali,
il tipo di deposizione più frequente è rappresentato dalla tomba a
grotticella artificiale con ingresso a pozzetto o a corridoio.
Queste tombe sono le cosiddette domus de janas (casa delle
streghe), un tipo di tomba ipogeica collegata alla vasta tradizione
dell'ipogeismo mediterraneo.
Le tombe, migliaia in tutto il
territorio sardo, possono essere singole o riunite in piccoli gruppi
o in vaste necropoli; la loro forma varia da tipi monocellulari con
pianta rotonda o quadrangolare a tombe con poche celle disposte a T
o a croce fino a tombe pluricellulari con planimetrie complesse
sviluppate su schemi radiali. In questi ultimi tipi sono riprodotti
i vari ambienti delle abitazioni con stanze rotonde e tetti conici,
ambienti rettangolari, soffitti con architravi a spioventi sostenuti
da pilastri e colonne, porte, finestre, nicchie, sedili e letti in
pietra. Sulle pareti figurano motivi decorativi incisi, dipinti o in
bassorilievo, che richiamano spesso le tipiche decorazioni presenti
sulla ceramica; spirali, festoni, schemi antropomorfi, protomi e
corna taurine, motivi solari, dischi, occhi e cuppelle sono
i simboli maggiormente rappresentati.
«Vicino agli inumati veniva posto il corredo, costituito da oggetti della vita
quotidiana: vasi, strumenti in pietra, osso e metallo, fuseruole, collane ed altri ornamenti.
Sia l'architettura delle tombe che la composizione dei corredi sembrano indicare la
credenza in un'esistenza ultraterrena, intesa come continuazione della vita, in cui gli
uomini potevano ritrovare gli ambienti e gli oggetti familiari. La falsa porta costituisce
il simbolo del passaggio all'aldilà; le protomi taurine rappresentano l'attributo
essenziale del Dio Padre, protettore del defunto, raffigurato nella specie del toro, principio
maschile della fecondità, simbolo di rigenerazione e rinascita; le nicchie sembrano
indicare il luogo dove deporre le offerte destinate ad assicurare la sopravvivenza dei
defunti» (D.
Cocchi Genick, Manuale di Preistoria, Neolitico,
cit., p. 291).
Nel III millennio a.C. compaiono le prime
espressioni megalitiche di carattere cultuale e funerario; esempi di
questa nuova forma di architettura funeraria sono i circoli tombali
del Gerrei e del Sarcidano. Piuttosto significativa è la necropoli di Pranu Muttèddu sull'altipiano di Goni nel Gerrei dove,
in prossimità di un abitato, si alternano gruppi di piccole domus de janas e una serie di tombe a
circolo; quest'ultime sono costituite da strutture rotondeggianti e concentriche che racchiudono ciste
litiche per inumazioni singole o camere di varia forma scavate in blocchi monolitici;
alle tombe si accede attraverso corridoi a lastroni ortostatici.
Le
differenti strutture riflettono probabilmente differenziazioni sociali e nuove ideologie religiose connesse all'introduzione del
megalitismo, come dimostrano i numerosi menhir, disposti in coppie o
in allineamenti, nell'area stessa della necropoli e talora inseriti nelle stesse strutture
tombali. La presenza nelle necropoli ipogeico-megalitiche
di menhir protoantropomorfi,
alcuni dei quali recano incise delle coppelle, è attestata anche a Carabassa di S. Antonio Ruinas,
Putzolu di Asuni, Cirquittus di Làconi, Sos Sèttiles di Oniferi.
Tipici
della cultura di Ozieri sono anche i menhir aniconici, di altezza anche superiore ai 6 m,
talvolta grezzi e irregolari, altre volte sbozzati e variamente profilati, a vertici arrotondati, appiattiti, rastremati e di
frequente appuntiti; sono attestati presso l'altare di Monte d'Accoddi
(Sassari), all'ingresso della Grotta di S. Michele ai Cappuccini di Ozieri e della Grotta
Sa Ucca de su Tintirriolu di Mara, presso l'abitato di S'Arriòrgiu di
Villaperùccio e presso la necropoli a domus de janas di Montessu.
Cultura
di Arzachena
Contemporaneamente
alla cultura di Ozieri si sviluppa in Gallura la cultura di
Arzachena o "cultura gallurese" concentrata appunto nell'area
compresa fra Arzachena, Luogosanto e Olbia. Tipiche di questa
cultura sono le tombe a circolo formate da lastroni ortostatici
disposti a circolo e spesso accompagnati da menhir. I
circoli, con diametro variabile fra 5,30 e 8,50 m, racchiudono ciste
litiche, ricoperte da tumuli di pietra e terra, destinate a sepolture.
Altre ciste litiche, di dimensioni minori e disposte tra le tombe,
sono risultate vuote; erano destinate probabilmente alle offerte
votive. I corredi, con scarsi frammenti di ceramica priva di
decorazione, comprendono strumenti litici molto elaborati. Fra gli
oggetti rinvenuti figurano lame di selce, accette levigate, una
coppetta di steatite con due prese a rocchetto che presenta
affinità con la cultura di Diana, pomi sferoidi forati, vaghi di
collana in steatite di forma allungata, sferica e discoidale.
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Necropoli
di Li Muri, Arzachena (foto
dell'autore 7/9/2004) |
I
monumenti funerari della cultura di Arzachena trovano confronti con
quelli dell'area mediterranea franco-iberica, della Valle d'Aosta e
della Corsica. Per alcuni autori questa cultura sarebbe da considerare
come un aspetto locale della cultura di Ozieri; con essa infatti sono
state trovate delle analogie che riguardano non solo i materiali
archeologici rinvenuti nei corredi ma anche la sfera
religiosa-ideologica come dimostra la connessione fra sepolture e
menhir.
Di
incerta attribuzione cronologica, per l'assenza di ceramica in
stratigrafia, sono i dolmen rinvenuti in Gallura così come quelli
individuati nel resto del territorio sardo. Secondo alcuni autori
questi monumenti megalitici sarebbero comparsi nell'ambito della
cultura di Ozieri perdurando anche nelle epoche successive.
Dolmen
di Motorra, Dorgali
(foto dell'autore 8/9/2004) |
Fonte:
D.
Cocchi Genick, Manuale di Preistoria, Neolitico, volume
II, Octavo, Firenze 1994, pp. 275
R.
Grifoni Cremonesi, Il Neolitico nell'Italia centrale e in
Sardegna, in A.
Guidi - M. Piperno (a cura di), Italia preistorica, Laterza,
Roma-Bari 1992, pp. 312-313, 321-322, 329-331
G.
Lilliu, La civiltà dei Sardi, Il Maestrale, Recco 2004,
pp. 27-127
Per
la bibliografia si veda:
D.
Cocchi Genick, Manuale di Preistoria, Neolitico,
cit., pp. 297-299
G.
Lilliu, La civiltà dei Sardi, cit., pp. 697-704
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Sommario |
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