Il rinvenimento di tubi dell’acquedotto romano di Cingoli

"Corriere Adriatico", 3 agosto 1933

 

Nei pressi delle mura di Cingoli si trovano i resti di un’importante acquedotto romano costruito negli ultimi periodi della Repubblica in una grande galleria sotterranea (specus cuniculus), parte in solida muratura, parte allo stato naturale con pozzetti di aerazione (aestuarii) collegati alla base con la galleria stessa.

Una lapide murata nell’atrio del palazzo comunale ne ricorda la restaurazione fatta eseguire dall’imperatore Traiano, altra murata nel fabbricato attiguo alla Porta Pia, d’epoca medioevale, ne dà alcune indicazioni topografiche.

Già fin dal 1525, anno nel quale fu costruita la monumentale fontana delle “tre cannelle” oggi denominata di “Sant’Esuberanzio” che attinge l’acqua dalla galleria romana, le sorgenti principali che alimentavano tale acquedotto si erano disperse poiché l’acqua che vi defluiva e che vi defluisce, proviene quasi per intero da una piccola sorgente (un quarto di litro) che si trova nell’ultimo tratto della galleria ancora visitabile e che in quell’epoca fu restaurata.

L’amministrazione comunale negli anni 1894 e 1895 ottenuto un sussidio di L.392 dal Ministero dell’Educazione Nazionale, affidò all’ing. Coletti l’incarico di esplorare la galleria romana incominciando dalla fontana delle “tre cannelle” per poter rintracciare i fondo cieco e le sorgenti principali dell’acquedotto.

I lavori furono eseguiti con diligenza, ma dopo averne esplorata circa trecento metri, esaurito il fondo posto a disposizione dal Comune, furono sospesi.

Da quell’epoca non si è più parlato delle ulteriori esplorazioni della galleria romana ed il lavoro allora eseguito è andato irrimediabilmente perduto poiché i pozzetti espurgati furono successivamente rinchiusi.

Oggi il problema della esplorazione dell’acquedotto romano merita di essere ripreso in attento esame sia dal punto di vista archeologico sia da quello della pratica utilità.

La importanza archeologica è evidente e basta comunque a dimostrarla, da una parte, il fatto che pochi in Italia sono gli acquedotti romani che attualmente permangono costruiti con il sistema delle gallerie sotterranee e sfiatatoi d’aria, dall’altra il sussidio di L. 392 concesso nel 1894 dal Ministero dell’Educazione Nazionale quando il fondo del bilancio dello Stato per gli scavi archeologici era di appena L. 3000 all’anno per tutta l’Italia.

Per quanto concerne la sua pratica utilità se si riuscisse a rintracciare le sorgenti principali che alimentavano un tale acquedotto grandi vantaggi ne deriverebbero al comune di Cingoli, il quale benché abbia assicurato il rifornimento idrico con due acquedotti di cui uno a gravitazione e l’altro a sollevamento, potrebbe estendere la distribuzione dell’acqua nella campagna mercé la costruzione di acquedotti interpoderali con il concorso dello Stato e dei proprietari dei fondi.

Ci auguriamo quindi che l’amministrazione comunale voglia rimettere sul tappeto la questione chiedendo un adeguato contributo al Ministero dell’educazione nazionale per poter riprendere i lavori di espurgazione della galleria romana poiché con ciò si rimetterebbe in piena luce un’opera di grande importanza archeologica e forse anche si potrà riuscire a rintracciare le sorgenti principali dell’acquedotto.

Per quanto concerne la quantità d’acqua che in origine alimentava l’acquedotto romano non vi può essere dubbio sulla sua abbondanza in relazione al sistema che adottavano i romani nella costruzione degli acquedotti ed al fatto che il comune di Cingoli, in quell’epoca, aveva una popolazione superiore all’attuale oltre, ben si intende, alla colonia militare che vi era costituita.

L’acquedotto inoltre in quell’epoca, con tubazione secondarie di piombo, doveva anche alimentare gran parte del territorio di Cingoli ove si trovavano disseminate le ville dei nobili e dei patrizi romani che vi venivano a passare i dolci ozi estivi.

Ciò si può dedurre dal fatto che in vari punti del territorio, tempo addietro, sono venuti in luce varie volte frammenti di tubature secondarie, di piombo, che sfortunatamente però sono andati dispersi.

Altri frammenti di tubature romane di piombo sono venuti in luce pochi giorni orsono, ma questa volta, mercé l’energico intervento della autorità comunale si è riusciti ad impedirne, almeno in parte, la distruzione.

Tali frammenti sono stati scavati nel letto del fiume Musone e nei pressi del ponte del Bachero, al confine territoriale con Jesi, dal cavatore di breccia Mugliaroli Filippo e da questi poi venduti al sig. Schiavoni Giovanni, calderaio di qui. Lo Schiavoni che, nella sua ignoranza, aveva capito trattarsi di cosa antica di interesse archeologico, si accingeva a distruggerli per ricavarne del piombo, risparmiandone il piccolo quadrato contenente le lettere che allo scopo aveva ritagliato ed il frammento contenente il giunto ben conservato, quando, informata della cosa, l’autorità comunale ne ingiungeva la conservazione in attesa delle disposizioni che sarà per prendere la R. Sovrintendenza di Ancona, la quale venne informata del rinvenimento.

Una punizione esemplare sarebbe necessaria tanto per lo Schiavoni quanto per il Mugliaroli anche perché è frequente, nel territorio di Cingoli il rinvenimento di oggetti di importanza archeologica che vanno poi dispersi per ingordigia ed ignoranza dei ritrovatori, i quali ben si guardano dal renderne edotta l’Autorità.

I frammenti ritrovati sono costituiti da due lastre di piombo della lunghezza di cm. 120, della larghezza di cm. 60 e dello spessore di cm.3, del peso ciascuna di Kg 68. Esse recano sul dorso, nel retro, le iniziali fuse: P.V.P.C. Nel rovescio le iniziali: F.C.L. Tali lastre in origine erano due tubi di piombo da acquedotto ed al margine di esse si possono riconoscere i frammenti del giunto il quale si trova intatto e caratteristico nel terzo frammento, più piccolo, ma di maggiore importanza perché si mostra la forma esatta della fistola, del diametro di mm. 150.

Essa appare simile a quella che fu rinvenuta a Roma durante gli scavi delle fondamenta della Chiesa di S. Ignazio di cui parla Alessandro Donato con la sola differenza che mentre dalle iscrizioni contenute in quella di Roma (Nare est Aug.Lib.Epist.) se ne rileva sia l’autore sia l’epoca della costruzione, dalle iscrizioni contenute in quelle di Cingoli, invece, trattandosi di sole iniziali è difficile poter riconoscere sia l’autore sia l’epoca precisa della costruzione.

Sul punto del rinvenimento sarebbe necessario effettuare qualche scavo per poter rintracciare altri frammenti, la provenienza della tubatura ed il sistema adottato nel giunto di un tubo con l’altro che sarebbe certo interessante.

 Dott. Ruffino Grasselli

 

 


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