Il potere risolutivo ad occhio nudo

di Adriano Gaspani

 

Il potere risolutivo è definito come l'angolo di minima separazione tra due punti luminosi, per esempio due stelle sulla volta celeste, che l'occhio è capace di discernere come due oggetti separati e distinti. Noi sappiamo che esistono dei criteri derivanti sia da considerazioni di carattere teorico che empirico per ottenere una ragionevole valutazione del potere risolutivo di uno strumento ottico. Il limite di Rayleigh è quello più noto e poggia su buone basi teoriche, quello di Dawes invece fu ottenuto da considerazioni sperimentali al pari della formula di Argentieri nella quale viene considerato anche il fattore d'ingrandimento. Tutti questi criteri che si basano sul diametro dell'obbiettivo dello strumento ottico considerato, non solo forniscono valutazioni discordanti tra loro qualora li si applichi a telescopi e cannocchiali, ma quando vengono estrapolati a diametri tipici della pupilla dell'occhio nudo allora i risultati che si ottengono sono a dir poco disastrosi.

La ragione risiede nel fatto che l'osservazione ad occhio nudo presenta tutta una problematica in cui divengono fondamentali fattori non legati tanto all'ottica e ai suoi principi fisici e matematici, ma alla neurofisiologia e a tutte le sue implicazioni. Si comprende quindi quale sia la difficoltà di mettere a punto un modello matematico ragionevolmente semplice e tale da riprodurre in maniera ragionevolmente buona le prestazioni dell'occhio umano quando rileva un flusso di luce di intensità molto ridotta quale è quello incidente durante l'osservazione del cielo notturno. Il problema di stimare quale sia il potere risolutivo dell'occhio nudo viene spesso grossolanamente aggirato affermando, come si trova usualmente in letteratura, che esso abbia un valore standard di circa 30" d'arco. Questo valore corrisponde grosso modo all'angolo sulla sfera celeste sotteso dall'intervallo medio tra un recettore e quelli vicini sulla retina.

Il sistema visivo umano, di cui l'occhio è una parte fondamentale, è quindi un dispositivo molto sofisticato le cui caratteristiche e il suo funzionamento non sono ancora perfettamente compresi nonostante gli sforzi in tal senso da parte di un gran numero di studiosi. Da sempre ottici, neurofisiologi, psicologi e più recentemente studiosi di "computer vision" stanno lavorando in questo campo di ricerca con lo scopo di aumentare la nostra conoscenza relativa ai meccanismi mediante i quali l'occhio riesce a rivelare segnali luminosi anche di debolissima intensità con una velocità ed un grado di efficienza molto elevati. Esso riesce a realizzare quello che in linguaggio tecnico viene definito "un elevato range dinamico", cioè la capacità di adattarsi con successo e rapidamente alla osservazione di sorgenti di luce caratterizzate da un grande divario di luminosità. Pensiamo ad esempio alla luce solare diurna e per contrapposizione alla debole luce delle stelle appena percettibili all'occhio nudo durante la notte.

E' difficile realizzare artificialmente un dispositivo fotoelettronico in grado di avere delle prestazioni comparabili con quelle dell'occhio umano. La soglia di sensibilità dell'occhio umano intesa come il flusso minimo  di fotoni capace di comunicare l'energia sufficiente ad attivare le sostanze chimiche, tra cui la rodopsina, che permettono la generazione dell'impulso elettrico da trasferire, attraverso il nervo ottico, alla corteccia cerebrale del cervello, è circa 4 fotoni assorbiti in tempo medio di 0.15 secondi. Affinché ciò avvenga è però necessario che il flusso incidente sia  di almeno 60 fotoni in un tempo di 0.15 secondi. Tale infatti è mediamente il tempo di integrazione dell'occhio umano, cioè la risposta neuronale viene generata e trasmessa al nervo ottico ad intervalli di circa 0.15 secondi. La conseguenza è che ogni impulso contiene l'informazione portata dai segnali luminosi pervenuti all'occhio durante tutto quell'intervallo di tempo.

La retina è composta prevalentemente da due tipi diversi di fotorecettori: i coni e i bastoncelli. I coni sono cellule altamente sensibili ai colori. Il loro numero si aggira mediamente intorno ai 6 o 7 milioni ed essi sono prevalentemente situati in corrispondenza della parte centrale della retina. La dimensione media di ciascun cono è di circa 2 micron ed ognuno di essi è connesso ad una singola terminazione nervosa. La sensazione visiva prodotta dai coni è detta "fotopica" e si riferisce alla visione di oggetti fortemente illuminati o di sorgenti fortemente luminose. La visione fotopica quindi interessa soprattutto la visione diurna, cioè quella relativa agli oggetti illuminati dalla luce solare. I bastoncelli invece hanno la funzione di occuparsi della morfologia della immagine focalizzata sulla retina. La sensazione visiva prodotta dai bastoncelli è detta "scotottica". I bastoncelli sono gli organi interni dell'occhio che giocano il ruolo più determinante dal punto di vista della osservazione degli oggetti celesti durante la notte, soprattutto quelli di ridotta dimensione angolare.

Il loro numero è molto alto, si parla di valori variabili da un individuo all'altro, dell'ordine di 75 a 150 milioni. La dimensione media di ciascun bastoncello è di circa 1 micron. Essi sono distribuiti quasi uniformemente sulla superficie della retina. Dal punto di vista strutturale la distribuzione dei coni sulla retina è mediamente di 1 cono per 10' quadrati d'arco, quindi ogni cono viene attivato da un segnale luminoso distribuito e integrato su un quadrato di poco meno di 3.5 primi d'arco. I bastoncelli sono invece più numerosi e la loro densità spaziale è di circa 2.7 elementi per primo d'arco quadrato. Ciò significa che ogni bastoncello viene attivato dal segnale luminoso integrato su un angolo solido di 0.6 x 0.6 primi d'arco, poco più di 30" d'arco. Siccome i bastoncelli sono gli elementi che lavorano durante l'osservazione visuale delle stelle, essendo l'occhio in questo caso in regime di visione scotottica, è chiaro che il potere risolutivo è prevalentemente determinato dalla distribuzione e dal numero dei bastoncelli più che da quelle dei coni.

Una singola connessione nervosa può terminare in parecchi bastoncelli, questo fatto spiega la loro bassa capacità di risoluzione dei particolari  minuti sull'immagine focalizzata sulla retina. Entrambi i coni e i bastoncelli hanno grosso modo la funzione di trasformare gli impulsi luminosi in stimoli elettrici, i quali sono trasportati dal nervo ottico fino alla corteccia cerebrale dove avviene il meccanismo di  percezione, trattamento, integrazione ed interpretazione dell'immagine.Le immagini codificate sotto forma di segnali neuronali ordinati secondo regole molto efficienti vengono fisicamente mappate su alcune zone ben determinate della corteccia cerebrale in cui risiedono neuroni specializzati ad eseguire l'interpretazione e la decodifica dell'immagine neuronale.

L'occhio è accoppiato localmente ad una rete neurale biologica che ne gestisce il funzionamento trasmettendo, elaborando e codificando il segnale luminoso raccolto dai recettori della retina. Il comportamento di questa rete neurale è altamente nonlineare. Infatti data una sorgente luminosa caratterizzata da una determinata luminanza, i neuroni che compongono la retina elaboreranno una risposta non lineare proporzionale alla cosiddetta "magnitudine" mv, una grandezza corrispondente a quel valore di illuminanza e legato ad essa da una trasformazione matematica usualmente logaritmica.

A questo proposito può essere interessante ricordare che la nonlinearità di tipo logaritmico tanto comune nell'ambiente astronomico e che deriva dalla formula di Pogson, in realtà viene spesso sostituita in settori di ricerca non astronomici, da altre funzioni matematiche che tendono anch'esse ad appiattirsi per valori elevati della luminosità. Spesso tali funzioni risultano più aderenti alla realtà che la ben nota e tradizionale funzione logaritmica. Questa nonlinearita' se da un lato protegge l'uomo dalla distruzione dei suoi organi preposti alla visione qualora gli stimoli luminosi esterni siano di intensità troppo elevata, dall'altro rende impossibile ottenere una risposta del sistema proporzionata in maniera lineare allo stimolo in ingresso ad esso. La conseguenza pratica di questo fatto è che l'occhio umano è un dispositivo molto efficiente nel rivelare la luminosità di sorgenti di luce di intensità molto diversa e talvolta anche la sua variazione nel tempo, ma in linea di principio esso è in grado di misurarla piuttosto male. Questa, per inciso, è la causa per cui le stime visuali della luminosità  delle stelle variabili eseguite dagli astrofili non possono raggiungere  precisioni superiori a certi limiti.

Infatti non è possibile ricreare le stesse situazioni nurofisiologiche anche in tempi diversi durante la stessa sessione osservativa. Uno dei problemi principali sollevati quando l'occhio umano riceve uno stimolo luminoso proveniente da una sorgente poco estesa, praticamente puntiforme, quale ad esempio una stella luminosa, è la reazione dei fotorecettori della retina e la conseguente reazione della rete neuronale che elabora e produce il corrispondente segnale neurale trasmesso agli strati della corteccia cerebrale preposti alla analisi degli stimoli visivi. Se la sorgente è puntiforme, solamente un numero molto limitato di neuroni appartenenti ad un certo strato verrà attivato, ma siccome le connessioni sinaptiche sono, nel caso del sistema visuale umano, stabilite anche tra più neuroni appartenenti allo stesso strato avverrà che l'attivazione di un determinato neurone produrrà anche l'attivazione di quelli topograficamente vicini.

L'attivazione di zone rilevanti della retina anche quando i neuroni realmente stimolati sono solamente un numero molto limitato, produce una sensazione visiva corrispondente all'aver osservato un oggetto luminoso di dimensioni angolari apparenti consistentemente maggiori rispetto a quelle reali. L'immagine di una stella focalizzata sulla retina possiede comunque una dimensione "neuronale" finita e misurabile determinata dalla distribuzione spaziale dei recettori attivati. Tale dimensione non ha nulla a che vedere con le dimensioni reali e fisiche della stella considerata, ma dipenderà soprattutto dell'immagine di confusione dovuta all'atmosfera, chiamata nel gergo astronomico "immagine di seeing" e dal comportamento dei neuroni della retina. Essa è praticamente l'estensione angolare corrispondente alla zona di retina coperta dei neuroni che sono stati attivati, direttamente o per reazione indotta, dal segnale luminoso giunto dal cielo. 

Non insisteremo qui sui principi fisici che portano alla formazione della immagine di "seeing" della stella in quanto la teoria risulta in questo caso piuttosto complicata e riportarla in questa sede sarebbe inopportuno, comunque il risultato finale e importante è sapere che sulla retina viene focalizzata una immagine di confusione dipendente dal diametro della pupilla, dalla magnitudine della stella osservata e dalle condizioni di illuminamento e di diffusione luminosa del cielo e da quanti e quali neuroni sono stati attivati.

Esisterà però una dimensione limite dell'immagine neuronale. L'immagine per essere rivelata non potrà essere più piccola della distanza tra neurone e neurone, la quale tra l'altro condiziona il potere risolutivo effettivo dell'occhio nudo ponendo ad esso un limite inferiore. Infatti esiste un limite fisico, la magnitudine visuale limite 6 circa, sotto la quale la dimensione della immagine proiettata sulla retina corrispondente alla stella diviene inferiore ai 30" d'arco. Questo è un fatto molto interessante in quanto sappiamo dalla neurofisiologia che i fotorecettori sono posizionati sulla retina ad una distanza media tra loro corrispondente ad una distanza angolare sul cielo di circa 30" d'arco. Immagini focalizzate sulla retina più piccole di 30" non possono essere rivelato a meno che non cadano casualmente sopra un determinato e unico fotorecettore.

Questo spiega perché talvolta i limiti proposti dalle varie teorie vengono di poco superati dall'esperienza diretta. Il numero, la distribuzione e il tasso di raggruppamento dei bastoncelli per ogni terminazione nervosa, condizionano, come abbiamo visto, il potere risolutivo dell'occhio nudo.Consideriamo ad esempio due stelle angolarmente molto vicine tra loro sulla sfera celeste. Quando esse sono osservate ad occhio nudo le loro immagini andranno a focalizzarsi sulla retina. Se la loro distanza reciproca è molto bassa esse andranno a cadere entrambe su un gruppo di bastoncelli che terminano nella stessa connessione nervosa, quindi le immagini delle due stelle non potranno essere viste in modo distinto in quanto la singola terminazione nervosa porterà al cervello le informazioni mescolate relative alle due immagini. Nel caso che la distanza angolare tra le due stelle sia tale per cui le due immagini siano focalizzate su gruppi di bastoncelli terminanti in differenti connessioni nervose, allora le due stelle saranno visibili come due immagini luminose distinte. 

Sarà quindi la densità di connessioni nervose e di bastoncelli per unità  di area a condizionare direttamente il potere risolutivo il quale è quindi  una caratteristica globale del sistema visuale nel suo complesso e non dipende solamente dai bastoncelli o dal diametro della pupilla. La questione relativa al fatto se Gan-De fosse stato o meno in grado di vedere un satellite di Giove appare, in quest'ottica, di importanza  secondaria rispetto al problema di ottenere un buon modello del sistema visivo umano durante l'osservazione del cielo stellato. La formulazione di un buon modello, dotato di convenienti equazioni  matematiche, che descriva sufficientemente bene quello che succede è molto difficile da realizzare, addirittura è impossibile se si richiede una aderenza molto stretta al comportamento reale dell'occhio umano. In casi come questi, quando i modelli analitici risultano essere o preclusi o troppo complessi per essere sviluppati e applicati praticamente con l'intento di ottenere buone previsioni, allora l'intelligenza artificiale e in particolare reti neuronali artificiali ci vengono in valido aiuto. La struttura della retina dell'occhio umano è nota quindi è possibile simularla su computer.

Questo tipo di ricerche viene svolto con successo già da molti anni in varie parti del mondo soprattutto da studiosi che si occupano di Cibernetica sia a livello industriale che di ricerca pura mettendo a punto vari tipi di "retine artificiali". La "retina artificiale" quindi non è altro che un insieme di neuroni matematici, disposti su un piano virtuale, uno accanto all'altro, secondo una struttura regolare e ciascuno dei quali è in grado di scambiare informazioni con tutti quelli vicini. Il tutto è codificato in un programma eseguito da un computer. Anche in questo caso si è pensato di riprodurre la struttura della retina umana in questo modo. Il lavoro è stato in parte facilitato dal fatto che esistono già in letteratura alcuni buoni modelli neuronali di retina artificiale a cui è possibile fare riferimento.

In particolare, in questa sede, è stata adottato il modello a topologia esagonale sviluppato alcuni anni fa dal finlandese Teuvo Kohonen, dell'Università' di Helsinki, che prevede l'adozione di un unico stato di neuroni disposti ai nodi di un reticolo esagonale piano, ciascuno dei quali è posizionato, nel caso presente, ad una distanza tale da essere equivalente a 30" d'arco sulla sfera celeste. Il vantaggio della scelta del reticolo esagonale è rappresentato dal fatto che in questo modo ciascun neurone è disposto al vertice di sei triangoli equilateri, quindi ciascun neurone è spazialmente equidistante dai quelli che lo circondano. L'equidistanza permette di evitare asimmetrie di comportamento della rete e le distorsioni nella rappresentazione delle immagini neuronali.

Nessun altro reticolo all'infuori dell'esagonale assicura questa proprietà. Il modo con cui i vari neuroni artificiali lavorano è estremamente semplice. Infatti ciascun neurone artificiale è un dispositivo che riceve un certo numero di stimoli (rappresentati, nel modello, da valori numerici) ciascuno proveniente da ogni neurone topologicamente vicino e ad esso collegato. Il dispositivo esegue una somma pesata di tutti gli input applicando delle funzioni peso e a sua volta trasmetterà ai neuroni a lui collegati un segnale numerico proporzionale in modo non lineare alla magnitudine della somma pesata da lui calcolata. In questo modo ciascun neurone è in grado di attivare i neuroni vicini in relazione all'intensità' del suo segnale in uscita. Tutti i neuroni così sollecitati faranno la stessa cosa fino a quando l'intera rete neuronale che simula la retina si assesterà in una condizione di equilibrio. Una volta sviluppato il modello neuronale artificiale che riproduce la retina, si stimolano due neuroni disposti ad una distanza tra loro sul reticolo in modo tale che la essa corrisponda a quella angolare tra due stelle vicine sulla sfera celeste. Questo è in grado di simulare a piuttosto bene la proiezione sulla retina dell'occhio umano delle due immagini delle stelle che l'osservatore sta in quel momento guardando con il proprio occhio. 

L'intensità' dei due segnali numerici che costituiscono gli stimoli comunicati ai due neuroni è calcolata in modo proporzionale alla magnitudine visuale di ciascuna delle due stelle. A questo punto il processo di reazione dei due neuroni inizia e con esso parte anche il processo di diffusione del segnale ai neuroni vicini i quali reagiscono propagando a loro volta il proprio output a quelli a loro vicini e così via. Siccome la risposta dei vari neuroni è proporzionale nonlinearmente agli stimoli in ingresso, il segnale si attenua man mano si diffonde allontanandosi dal neurone che lo ha generato. Nel modello di Kohonen, e anche nella retina umana, si assiste anche ad un fenomeno cosiddetto di "inibizione laterale". In parole più semplici, quando un neurone viene attivato, quelli a lui topologicamente vicini sviluppano una tendenza ad inibire, e quindi  ad attenuare, il segnale che verrà ricevuto da esso. In questo modo il processo non può degenerare in situazioni distruttive. Dopo un certo tempo, peraltro molto breve, la situazione si stabilizza. Leggendo il livello di attivazione raggiunto da ciascun neurone e rappresentandolo in funzione della posizione spaziale da esso occupata nel reticolo otteniamo una immagine che riproduce le zone attivate intorno ai due neuroni stimolati inizialmente con segnali proporzionali alla magnitudine delle due stelle.

In questo modo è possibile osservare come la rete ha "visto" le due stelle fittizie. Variando sia la distanza angolare delle due "stelle" sia la loro magnitudine visuale indipendentemente una dall'altra e osservando come la retina artificiale risponde caso per caso è possibile trarre interessanti conclusioni sul suo comportamento in relazione alla tipologia dei segnali in ingresso, cioè alle magnitudini delle stelle alle loro distanze angolari reciproche in cielo. Se il modello è stato costruito con cura allora i risultati ottenuti sono trasponibili al comportamento dell'occhio umano con un ridotto margine d'errore. Studiando il comportamento di questa retina artificiale simulando le condizioni di osservazione di due stelle vicine è stato rilevato che il potere risolutivo p" espresso in secondi d'arco dipende dal numero di neuroni artificiali, N1 e N2, attivati dalle immagini delle due stelle proiettate sulla retina (artificiale), come segue:

1/2 1/2
p" = 10.31 ( N1 + N2 )

Questo fatto conduce facilmente a stimare il potere risolutivo dell'occhio nudo in funzione della magnitudine visuale mv1 e mv2 delle due stelle osservate:

-0.46 mv1 -0.46 mv2
p" = 240".28 ( e + e )

A causa del fatto che i recettori sulla retina sono spaziati di 30", questo valore rappresenterà comunque il limite inferiore per il potere risolutivo dell'occhio nudo. Per questo motivo valori di p" minori di 30" d'arco non dovranno essere presi in considerazione. La tabella seguente mette in evidenza i valori di p" in funzione delle magnitudini visuali mv1 e mv2 delle stelle fittizie utilizzate per gli esperimenti. I dati in tabella possono essere ritenuti come una buona stima del potere risolutivo dell'occhio nudo umano durante l'osservazione degli oggetti celesti. Potere risolutivo dell'occhio nudo in funzione della magnitudine visuale delle due stelle "osservate".

 

mv1  mv2    p" 

    N1

 N2 

N1+N2

-3.00 

-3.00 

1910.18

8577

8577

17154

-3.00

-2.00

1558.02

8577 

3418

11995

-3.00

-1.00

1335.71

8577 

1362  

 9939

-3.00

   .00

1195.37

8577

 543

 9120

-3.00

 1.00

1106.77

8577

 216

 8793

-3.00

 2.00

1050.85

8577

  86

 8663

-3.00

 3.00

1015.54

8577

  34

 8611

-3.00

 4.00

 993.25

8577

  14

 8591

-3.00

 5.00

 979.18

8577

   5

 8582

-3.00

 6.00

 970.30

8577

   2

 8579

-3.00

 7.00

 964.69

8577

   1

 8578

-3.00

 8.00

 961.15

8577

   0

 8577

-2.00 -2.00 1205.86 3418 3418  6836
-2.00 -1.00 983.55 3418 1362  4780
-2.00   .00  843.21 3418  543  3961
-2.00  1.00  754.62 3418  216  3634
-2.00  2.00  698.69 3418   86  3504
-2.00  3.00  663.38 3418   34  3452
-2.00  4.00  641.09 3418   14  3432
-2.00  5.00  627.02 3418    5  3423
-2.00  6.00  618.14 3418    2  3420
-2.00  7.00  612.53 3418    1  3419
-2.00  8.00  608.99 3418    0  3418
-1.00 -1.00  761.24 1362 1362  2724
-1.00    .00  620.90 1362  543  1905
-1.00  1.00  532.31 1362  216  1578
-1.00  2.00  476.38 1362   86  1448
-1.00  3.00  441.07 1362   34  1396
-1.00  4.00  418.78 1362   14  1376
-1.00  5.00  404.71 1362    5  1367
-1.00  6.00  395.83 1362    2  1364
-1.00  7.00  390.22 1362    1  1363
-1.00  8.00  386.68 1362    0  1362
0.00  0.00  480.56 543  543  1086
0.00  1.00  391.96 543  216   759
0.00  2.00  336.04 543   86   629
0.00  3.00  300.73 543   34   577
0.00  4.00  278.44 543   14   557
0.00  5.00  264.37 543    5   548
0.00  6.00  255.49 543    2   545
0.00  7.00  249.88 543    1   544
0.00  8.00  246.34 543    0    53
1.00  1.00  303.37 216  216  432
1.00  2.00  247.44 216   86  302
1.00  3.00  212.13 216   34  250
1.00  4.00  189.85 216   14  230
1.00  5.00  175.78 216    5  221
1.00  6.00  166.89 216    2  218
1.00  7.00  161.29 216    1  217
1.00  8.00  157.75 216    0  216
2.00   2.00  191.51     86  86  172
2.00  3.00  156.21     86  34  120
2.00  4.00  133.92     86  14  100
2.00  5.00  119.85     86   5   91
2.00  6.00  110.96     86   2   88
2.00  7.00  105.36     86   1   87
2.00  8.00  101.82     86   0   86
3.00  3.00  120.90    34  34   68
3.00  4.00   98.61    34  14   48
3.00  5.00   84.54    34   5   39
3.00  6.00   75.66    34   2   36
3.00  7.00   70.05    34   1   35
3.00  8.00   66.51    34   0   34
4.00  4.00   76.32   14  14   28
4.00  5.00   62.25   14   5   19
4.00  6.00   53.37   14   2   16
4.00  7.00   47.76   14   1   15
4.00  8.00   44.22   14   0   14
5.00  5.00   48.18    5   5   10
5.00  6.00   39.30    5   2    7
5.00  7.00   33.69    5   1    6
5.00  8.00   30.15    5   0    5
6.00  6.00   30.42    2   2    4
6.00  7.00   30.00    2   1    3
6.00  8.00   30.00    2   0    2
7.00  7.00   30.00    1   1    2
7.00  8.00   30.00    1   0    1
8.00  8.00  30.00    0   0    0

 


Nota: Nel caso in cui il numero di neuroni attivati dalla luce di una delle due stelle sia 0 allora essa non sarà visibile ad occhio nudo. Nel caso di due stelle di magnitudine 8.00 esse non saranno in grado di attivare alcun recettore sulla retina, quindi esse saranno completamente invisibili ad occhio nudo, come di fatto avviene. 

Un risultato curioso che si rileva dalla tabella è che gli esperimenti condotti con il modello descritto in questa sede hanno mostrato che l'osservazione visuale ad occhio nudo potrebbe permettere la visione anche di stelle di settima magnitudine.
La luce di tali stelle dovrebbe essere in grado di stimolare un numero ridottissimo di recettori, ma comunque non nullo. Il segnale neuronale trasmesso alla corteccia cerebrale sarà in questo caso ovviamente molto ridotto.

 

Tratto da: Archeoastromia, sito web di A. Gaspani

 


Sommario Articoli