I simboli “solari” dei Camuni 

di Adriano Gaspani

l'Astronomia n. 205 (gennaio 2000) pp. 32-39

 

Da due secoli a questa parte gli studiosi hanno mostrato notevole interesse per i petroglifi, cioè le incisioni su roccia eseguite da uomini del Paleolitico, del Neolitico, dell’Eneolitico e di periodi ancora più recenti. Magnifici esempi di arte rupestre, un termine che è forse riduttivo e che andrebbe sostituito con il più appropriato “cultura figurativa”, si possono osservare in svariate zone del territorio europeo, dalla Scandinavia alla Spagna, con notevolissime manifestazioni in Svizzera, Francia e Italia. Basti citare il complesso del monte Bego, nel sud della Francia, dove sono rappresentati oltre 100 mila simboli, e i petroglifi camuni della Val Camonica, in Italia, con oltre 70 mila incisioni. Il termine “cultura figurativa” è più appropriato in quanto le figure incise su roccia sono si l’espressione di una vena artistica, ma probabilmente vennero eseguite dall’uomo preistorico soprattutto con intenti propiziatori e con finalità pratiche. 

I petroglifi costituiscono un reperto estremamente importante per comprendere il pensiero di quegli uomini: possono infatti rappresentare una sorta di anello di congiunzione tra il loro mondo materiale e quello spirituale, tra la vita quotidiana e gli eventi naturali, spesso inspiegabili, primi fra tutti i vari fenomeni che si verificano in cielo. Di certo era una logica a noi sconosciuta a indurre gli uomini di quel tempo a rappresentare i loro concetti mediante quella particolare simbologia. A noi il duplice compito di decifrare il messaggio così crittografato e di tentare di comprendere la logica sottesa. Le scene rappresentate nei petroglifi sono di natura varia, come del resto gli stili riconoscibili, dipendenti generalmente dal periodo durante il quale essi furono incisi: accanto a scene di caccia, pesca, pastorizia o anche di culto, esistono taluni simboli, o associazioni di simboli, che non hanno ancora ricevuto un'adeguata interpretazione. Tra questi sono da annoverare quei segni astratti che generalmente vanno sotto il nome di "simboli solari" in quanto dovrebbero rappresentare il Sole in relazione al suo culto, molto diffuso tra le popolazioni di quel tempo. Non è detto però che tutti i simboli si riferiscano direttamente al Sole; è invece probabile che la rappresentazione simbolica riguardasse anche altri astri: la Luna, le comete, i pianeti visibili a occhio nudo e le stelle più luminose. Una religione animistica doveva infatti essere molto attenta ai fenomeni celesti, considerati come genuine manifestazioni divine e come tali scrupolosamente osservati e interpretati.

Si consideri il ruolo della Luna per l'uomo protostorico. La presenza della Luna poteva rischiarare il cammino al viaggiatore, e comunque avere un effetto rassicurante contro la paura delle tenebre. Le fasi lunari erano un fenomeno talmente evidente da non poter passare inosservato; infatti, il loro ciclo fu assunto come uno dei primi metodi di scansione e misura del tempo. Per la nascita di un bimbo, per esempio, era importante tenere il conto dei cicli lunari trascorsi: ciò veniva fatto già nel Paleolitico, come dimostrano le sequenze di 29 e 30 incisioni su osso, in perfetto accordo con il periodo sinodico lunare, che ricordano piuttosto chiaramente la forma della Luna nelle varie fasi del suo ciclo. Analizzando incisioni su ossi, corna di cervidi e pietre provenienti da diversi siti, in particolare dalla Francia, dall'Italia, dalla Spagna, dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia, risalenti al Paleolitico Superiore e quindi collocabili tra 35 e 10 mila anni fa, nel 1960 Alexander Marshack poté concludere che la registrazione grafica delle fasi lunari era un'attività generalizzata su tutto il territorio europeo. Un esempio un po' più recente è rappresentato dalla pietra SW22 rinvenuta presso il tumulo di Newgrange, in Irlanda. Sul monolito, che dovrebbe risalire a un periodo collocabile tra il 3700 e il 3500 a.C., sono rappresentate 29 incisioni che si riferiscono chiaramente all'evoluzione della fase lunare lungo un mese sinodico completo.

In Italia sono stati rinvenuti petroglifi in Val Camonica, in Liguria e in molte altre località dell'arco alpino. Ovunque esistono numerose rappresentazioni simboliche del disco solare. In generale, la tipologia che si osserva è quella di un cerchio che può essere o no raggiato e spesso con un punto o una croce al centro, oppure una spirale. Prendendo in esame solamente i petroglifi presenti nella Val Camonica, abitata anticamente dalla popolazione dei Camuni, si possono riconoscere 22 tipi diversi di simboli solari. In qualche caso sembra addirittura che si possano ravvisare tentativi di registrare vere e proprie sequenze temporali di avvenimenti. La dimensione temporale aveva quindi un preciso significato per gli uomini che tracciavano le figure sulla pietra. Alcuni esempi interessantissimi si possono osservare a Seraldina, presso Capodiponte, in Val Camonica, altri nella zona di Boario e sulla roccia del "Coren delle Fate" a Sonico dove appaiono incisioni del Neo-Eneolitico, dell'Età del Bronzo e dell'Età del Ferro. 

 

Disegni solari presenti sulle steli 1 e 2 di Bagnolo, presso Malegno (Val Camonica)

 

Le rappresentazioni solari nei graffiti camuni si dividono grosso modo in due categorie. Alla prima appartengono i casi in cui il disco è disegnato in maniera simmetrica: l'oggetto rappresentato può allora essere effettivamente il Sole, oppure la Luna Piena, o entrambi durante un'eclisse. La seconda riguarda le rappresentazioni di tipo asimmetrico in cui al disco vengono aggiunti dei prolungamenti, cioè uno o più "raggi": in questi casi l'oggetto rappresentato potrebbe anche essere un altro corpo celeste, con un aspetto simile a quello fissato dall'artista camuno. 

Affinché l'artista primitivo fosse talmente impressionato da una manifestazione celeste da sentire l'esigenza di rappresentarla sulla roccia, essa doveva soddisfare tre requisiti. Anzitutto, doveva essere molto appariscente e ben visibile a occhio nudo; in secondo luogo, doveva essere inusuale, cioè non corrispondere a eventi frequentemente osservati; infine, doveva presentare un certo grado di straordinarietà, che venisse naturale porre in relazione con il divino: doveva cioè essere tale da rimandare a qualche imponente manifestazione divina. Fenomeni idonei a soddisfare questi tre requisiti potrebbero essere i passaggi di comete luminose, le eclissi di Sole e di Luna, l'apparizione di stelle novae e supernovae, la caduta di meteore e bolidi particolarmente brillanti e appariscenti.

Nei petroglifi camuni presenti in Val Camonica e in Valtellina ci si imbatte spesso in una serie di simboli, ritenuti di ispirazione teomorfa, cioè legati alla rappresentazione della divinità, che probabilmente tramandano diverse versioni di uno stesso disegno fondamentale, la cui forma più rozza e semplificata, forse anche la prima a essere cronologicamente tracciata, appare sulla Roccia del Sole, presso il "Capitello dei due Pini" nella località di Paspardo. 

Questa grande roccia riporta simboli che sembrerebbero connessi più all'osservazione del cielo che a eventi di vita quotidiana. Si tratta generalmente di coppelle raggruppate, frammiste a figure umane con le braccia aperte (oranti), qualche alabarda e qualche figura di animale; in particolare, è presente un simbolo formato da una serie di tre dischi concentrici da cui emergono tre serie di raggi divergenti orientali verso il basso. Accanto ai dischi concentrici si osservano due piccoli cerchi, uno per lato e, poco più in alto a sinistra, un grosso disco interamente picchiettato (l'immagine della Luna?).

La roccia è databile circa tra il 3200 a.C. e il 2500 a.C., pressappoco all'inizio dell'arte monumentale camuna. L'incertezza sulla datazione è tale da rendere problematico qualsiasi tentativo di identificazione del possibile fenomeno astronomico a cui la rappresentazione si potrebbe riferire. 

 

Parete di roccia presso il "Capitello dei due Pini" a Paspardo

Questo simbolo appare anche su almeno altri nove massi incisi e rocce-steli rinvenuti in Val Camonica e in Valtellina. L'analisi, condotta mediante raffinate tecniche informatiche di pattern processing, ci dice che i dieci simboli sono altamente correlati tra loro, anche se tracciati su reperti rinvenuti a svariati chilometri di distanza l'uno dall'altro, e inoltre che molto probabilmente discendono tutti da quello rappresentato sulla roccia di Paspardo. 

 

Masso di Borno. Al centro, spostato sulla sinistra, si noti il simbolo teomorfo con tre appendici

Ma vediamo nel concreto i vari reperti, iniziando dal Masso di Borno, scoperto nel 1953 dal geologo A. Pollini ai piedi dell'altura del Dos Averta. Si tratta di un masso di arenaria permiana alto circa 2,3 m e inciso sulle quattro facciate. La più interessante per noi risulta la faccia n. 1, sulla quale, oltre a figure di tipo antropomorfo e zoomorfo, armi e ornamenti, compare il simbolo teomorfo a dischi concentrici con tre appendici a forma di coda.  

Sulla parete opposta compare un cerchio non raggiato, parzialmente immerso in una serie di striature trasversali: in questo caso potrebbe trattarsi di una rappresentazione della Luna invece che del Sole, e in tal modo le due facce del masso di Borno potrebbero essere ritualmente connesse con gli astri più appariscenti visibili in cielo. Un secondo masso, sempre a Borno, fu scoperto nel 1983 da G. F. Rivadossi. Oltre alle consuete figure di asce, pugnali e cervidi, compare ancora il simbolo teomorfo ma, curiosamente, capovolto, con i "raggi" rivolti verso l'alto. 

Passando alle statue-steli situate in Valtellina, nella località di Caven ne sono state rinvenute tre dell'Età del Rame sulle quali è inciso il solito simbolo teomorfo. Sulla prima stele sono presenti alcune tipiche raffigurazioni camune (asce, alabarde, pugnali e animali); qui il simbolo teomorfo differisce da quello classico per il fatto che i dischi laterali sono di diametro maggiore, spostati lateralmente verso il basso e con un altro cerchio tangente internamente a ciascuno di essi. Il disco centrale contiene altri due dischi concentrici. Sulla seconda stele il simbolo è presente con tre serie di raggi e con gli usuali due dischi laterali spostati un poco verso il basso e puntati nel centro. Sulla terza, infine, il simbolo teomorfo ha il disco centrale formato da cinque cerchi concentrici da cui si dipartono verticalmente verso il basso tre raggi, mentre ai lati sono rappresentati due dischi vuoti. La stele comprende anche altre incisioni. E' perciò probabile che sia avvenuta una rielaborazione del simbolo, abbellito con l'aggiunta di decorazioni. Lateralmente è stata incisa anche una coppia di pendagli a doppia spirale ai quali gli studiosi attribuiscono un significato simbolico di matrice solare. 

Sempre in Valtellina, il simbolo teomorfo, evoluto e trasposto simbolicamente, compare anche sulla stele di Cornal sotto forma di un disco centrale, composto da due cerchi concentrici, munito degli ormai classici tre raggi. Accanto al disco principale ne appaiono due laterali, più marcati e approssimativamente di pari dimensioni. Anche su questa stele compare un motivo decorativo. Il simbolo teomorfo compare anche su due steli trovate a Valgella. Sulla prima l'incisore ha rappresentato il disco centrale accompagnato da quattro cerchi concentrici e tre appendici (raggi) divergenti rivolti verso il basso. Accanto si ritrovano i due dischi laterali, uno per lato e allineati con quello centrale. La trasposizione è di tipo simbolico, ma il petroglifo appare isolato, senza particolari motivi decorativi. Sull'altra stele il simbolo teomorfo è decorato, e la somiglianza con quello della stele di Cornal è impressionante. 

 

 
 
Stele 1 di Valgella Stele di Cornal

Esaminando i dieci simboli viene spontaneo pensare a una certa evoluzione nel tempo della rappresentazione, da quella molto grezza della Roccia del Sole fino a quelle accurate e perfezionate dei massi di Borno. Successivamente la configurazione sembra evolversi verso una trasposizione simbolica molto ricercata e ricca di decorazioni, come possiamo rilevare sulle steli valtellinesi. Forse l'idea della rappresentazione si diffuse verso nord propagandosi dalla Val Camonica alla Valtellina: nel tempo trascorso, il simbolo, pur conservando i suoi caratteri essenziali, potrebbe essersi evoluto perdendo la caratteristica di rappresentazione fedele di qualcosa di effettivamente osservato in cielo.

Gli archeologi hanno dato di questo simbolo un'interpretazione tutta spirituale, cioè avulsa dalla cultura materiale. Ma è proprio così? E comunque, da che cosa deriva la scelta da parte degli incisori dei dieci megaliti di rappresentare proprio quel simbolo, tenendo conto che i megaliti non sono coevi? Un noto studioso lo definì "un simbolo solare posizionato tra due simboli astrali", ma senza fornire alcun riferimento al fenomeno astronomico che potrebbe averlo ispirato. Noi vogliamo porci due domande. In primo luogo, è possibile che il simbolo teomorfo sia semplicemente una rappresentazione del Sole casualmente diversa dai consueti simboli solari ritrovati tra le incisioni rupestri camune? In secondo luogo, è possibile che il simbolo compaia in 10 reperti differenti, solamente a seguito di una combinazione di fattori puramente casuali, escludendo quindi la deliberata volontà di rappresentare qualcosa di ben preciso? 

La questione è complessa, e tuttavia si è calcolato che la probabilità che la somiglianza dei 10 simboli in 10 reperti indipendenti non sia casuale è del 99,5%. Si deve poi notare un altro fatto e cioè che il simbolo teomorfo in questione è, tra i 22 simboli solari rinvenuti in Val Camonica e in Valtellina, il più complesso in assoluto e perciò anche quello che dovrebbe avere avuto la minore probabilità di essere rappresentato. Invece, il fatto che proprio quello sia stato prescelto per essere tracciato sulla sommità delle steli e su massi distribuiti geograficamente anche a distanze rilevanti e che inoltre compaia sempre una sola volta su ciascuna parete di roccia deve farci sospettare che esso abbia rivestito un preciso significato simbolico.

Il petroglifo tracciato sulla roccia del sole è il più elementare tra i 10 analizzati ed è quindi molto probabile che quella roccia contenga la rappresentazione più fedele e più antica dell'evento astronomico a cui potrebbe ipoteticamente riferirsi. Una delle possibilità è che esso sia la rappresentazione di una cometa luminosa, con più di una coda visibile a occhio nudo, comparsa poco tempo prima che la Roccia del Sole fosse incisa, nell'epoca in cui la cultura camuna era in pieno sviluppo. La cometa potrebbe essere transitata tra due stelle luminose, rappresentate sulla roccia sotto forma di due piccoli cerchi ai lati della testa della cometa. 

Esiste un esempio, molto più recente e riferito al nord Europa, di una situazione analoga: si tratta di una moneta celtica coniata nel I secolo a.C. dalla popolazione britannica degli Abricatui, sulla quale è rappresentata l'immagine di una cometa posta tra le stelle Spica e zeta Virginis. I Celti Abricatui rappresentarono sulle loro monete la cometa proprio nel momento del passaggio tra le due stelle, nonostante che l'oggetto celeste fosse stato visibile in cielo per molto tempo: il transito tra le due stelle doveva quindi assumere un particolare interesse. Anche per i Camuni tale evento poteva essere ritenuto importante per qualche ragione a noi sconosciuta. 

Nel simbolo teomorfo la testa della cometa parrebbe esagerata nelle dimensioni rispetto alle code. Ma è così anche nella moneta degli Abricatui, e inoltre siamo in presenza di una trasposizione simbolica, per cui il rispetto delle dimensioni relative è tutt'altro che scontato. La raffigurazione a centri concentrici potrebbe rimandare a una classica struttura a falso nucleo luminoso, rappresentato dal cerchio più piccolo e interno, circondato da un esteso alone. Da questo alone doveva emergere una coda aperta a ventaglio o anche due code, una di polvere e una di gas, come suggerirebbe la rappresentazione simbolica sui vari massi e sulle varie steli. 

L'ipotesi della cometa è la più immediata, ma non la sola possibile. Un'altra interpretazione potrebbe riferirsi a un'eclisse di Sole, e allora i due dischi laterali potrebbero rimandare a due pianeti divenuti visibili nei dintorni del disco solare eclissato. L'ipotesi dell'eclisse potrebbe essere avvalorata dal fatto che il simbolo teomorfo in questione compare solamente sulle steli della Val Camonica e della Valtellina, come se il fenomeno astronomico fosse risultato visibile solo localmente e non anche nel resto dell'Europa. In linea di principio potrebbe essere possibile calcolare tutte le eclissi solari visibili durante i sette secoli di incertezza cronologica relativa alla datazione della roccia di Paspardo, ma le conclusioni che se ne potrebbero trarre risulterebbero comunque assai aleatorie. E' stato anche suggerito che il fenomeno astronomico rappresentato possa essere stato una congiunzione tripla di pianeti, ma l'ipotesi risulta poco realistica quando si pensi che le congiunzioni triple sono frequentissime, e quindi non solo sarebbe impossibile tentare l'identificazione di quella a cui il simbolo potrebbe riferirsi, ma soprattutto verrebbe a mancare il requisito della straordinarietà di un fenomeno che dovrebbe aver colpito a tal punto l'immaginazione di quegli uomini da spingerli a rappresentarlo permanentemente sulla pietra.

In ogni caso, l'idea che il simbolo teomorfo si riferisca a un fenomeno astronomico è plausibile anche per un'altra ragione. Nel 1988, durante lavori di sbancamento eseguiti in località Braggia, presso Ello, un comune pochi chilometri a ovest di Lecco, venne alla luce una consistente quantità di reperti archeologici e tra questi anche un grosso menhir risalente all'Eneolitico recente. Il monolito, composto da roccia granitica e ricavato modellando un masso erratico, presentava sul lato frontale tracce di levigatura superficiale e alcuni petroglifi. La scena che vi è rappresentata riproduce un disco completamente picchiettato, da cui emergono verso il basso tre raggi, posto in mezzo ad altri due dischi opachi: in parole povere, lo stesso simbolo riscontrato sulle rocce camune. 

Il simbolo è tracciato all'interno di un cerchio e sotto è rappresentata una figura umana, rivolta a esso in atteggiamento orante; accanto troviamo la rappresentazione della lama di un'ascia sovrapposta a tre profonde incisioni e, sotto di essa, una figura rettangolare frangiata. L'impressione è quella di un uomo in atteggiamento di preghiera, rivolto verso un cielo in cui campeggia il disco tricaudato in mezzo ad altri due: ciò suggerisce già di per sé l'idea che l'oggetto simbolizzato fosse visibile in alto, nel cielo, e quindi che fosse un oggetto astronomico. Ma c'è di più. Il menhir, pur essendo coevo ai Camuni, non appartiene a quella cultura; è perciò poco probabile la propagazione dell'informazione relativa al simbolo teomorfo dai Camuni alle popolazioni insediate tra i due rami del Lago di Como. Se dunque la rappresentazione sul menhir di Ello fosse indipendente da quelle trovate sulle steli e sui massi camuno-valtellinesi, la spiccata similitudine tra i simboli potrebbe forse trovare una spiegazione nella rappresentazione simbolica di qualcosa di straordinario effettivamente osservato nel cielo da uomini geograficamente lontani tra loro e dotati di un bagaglio culturale differente. Essi furono testimoni dello stesso evento: forse la comparsa di una cometa molto luminosa, transitata in mezzo a due astri ben visibili a occhio nudo.

 

 

Scheda autore

Adriano Gaspani. Lavora presso l'Osservatorio Astronomico di Brera (Milano), dove attualmente svolge l'attività di system manager presso il locale Centro di Calcolo. Dal 1974 è membro del GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare). Da molti anni si occupa di archeoastronomia, avendo inaugurato l'applicazione di tecniche di ricognizione e analisi computerizzata di siti preistorici e protostorici basate su Reti Neuronali Artificiali e sulla Fuzzy Logic, con particolare riferimento ai reperti risalenti alla cultura celtica.

 

 


Sommario

L'astronomia dei monaci irlandesi